La prima parola che il presidente della Repubblica ha pronunciato il 25 aprile è quella più camuffata dalla premier: «Partigiani». E la frase con la quale Sergio Mattarella ha chiuso la sua celebrazione è andata al «monumento che si chiama ora e sempre Resistenza», quella stessa «Resistenza» che Giorgia Meloni fa invece fatica a chiamare.

La massima carica dello stato in questo 25 aprile si è assunta un doppio compito: sia l’altare della patria che il contraltare di Meloni, l’argine etico, discorsivo e istituzionale alle spinte meloniane per normalizzare l’estrema destra.

Un’agenda partigiana

Quando le celebrazioni del 25 aprile hanno preso il via, la mattina presto, Mattarella ha anzitutto deposto una corona d’alloro sulla tomba del milite ignoto all’altare della patria.

Le foto lo ritraggono mentre stringe la mano alla premier, con un sorridente Ignazio La Russa che si prepara ad andarsene a Praga nel giorno della Liberazione, e assieme al presidente del Senato anche quello della Camera, Lorenzo Fontana. Poi Guido Crosetto, ministro della Difesa, che ha seguito Mattarella anche nella sua seconda tappa.

«Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati»: è citando il padre costituente Piero Calamandrei che Sergio Mattarella ha iniziato il suo discorso a Cuneo. Per poi proseguire in altre terre simbolo della Resistenza: «Nel pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza». Poi «a Borgo San Dalmazzo visiterò il memoriale della Deportazione».

Un’agenda legata a doppio filo con la consapevolezza di ciò che il fascismo ha rappresentato: «una catastrofe». «Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l’8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò. Profughi consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti».

Contraltare di Meloni

«Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo». Ogni singolo passaggio dell’intervento di Mattarella fa da contraltare alle parole messe insieme da Meloni e pubblicate il 25 aprile sul Corriere della Sera.

La premier usa la parola “Resistenza” quattro volte, ma mai per fare riferimento al suo ruolo nella liberazione del paese. La prima volta la cita la Resistenza per rivolgere una critica: «Da quel paziente negoziato volto a definire princìpi e regole della nostra nascente democrazia liberale — esito non unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza — scaturì un testo che si dava l’obiettivo di unire e non di dividere». Dunque a detta della premier «non tutte le componenti della Resistenza» volevano unire. Poi Meloni usa la parola “Resistenza” per parlare dell’Ucraina: «la eroica resistenza del popolo ucraino in difesa della propria libertà e indipendenza dall’invasione russa».

La terza volta che la “Resistenza” ricorre è per sostituire la parola «patrioti» a «partigiani». Il passaggio è questo: «È, questa, una convinzione che ho rafforzato grazie all’incontro con una donna straordinaria, Paola Del Din. Della Resistenza dice: «Il tempo ci ha ribattezzati Partigiani, ma noi eravamo Patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora».

Il presidente della Repubblica fa da contraltare perché mette al centro del suo discorso partigiani e Resistenza, in più punti. Anzitutto, coi partigiani l’intervento si apre, e sulla Resistenza si chiude.

Il nodo del fascismo

Con altrettanta lucidità Mattarella affronta il tema del fascismo: «“La guerra continua” affermò Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943. Continua - proseguiva Galimberti - “fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”. Un giudizio netto e rigoroso», nota Mattarella.

La versione di Meloni è tutt’altra. La premier parla di «sanguinosa guerra civile», «spirale di odio» ed «esclusione di massa»: accusa «il fatto di usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico; una sorta di arma di esclusione di massa, come ha insegnato Augusto Del Noce, che per decenni ha consentito di estromettere persone, associazioni e partiti da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto».

Mentre Giorgia Meloni tenta l’ennesima operazione di normalizzazione dell’estrema destra, il presidente della Repubblica tiene viva la memoria.

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