Giorgio Napolitano non ha potuto votarlo, per ragioni di salute, ma con Sergio Mattarella ha avuto «un cordiale colloquio telefonico». A esserne testimone è il suo portavoce, collaboratore e amico Giovanni Matteoli. «Purtroppo il presidente non sta molto bene. Pesa sempre più l’età avanzata, ha quasi 97 anni. Ma ha potuto seguire le vicende complicate che hanno alla fine portato alla rielezione del presidente Mattarella. E ha seguito la diretta tv del giuramento e il messaggio al parlamento. Con partecipazione ed emozione».

Anche Napolitano nel 2013 aveva fatto gli scatoloni. Ormai è regola, un bis del mandato presidenziale è possibile anche quando un presidente dice ripetutamente no?

Il presidente Napolitano era fermamente intenzionato a evitare la rielezione, e per molte ragioni. Anzitutto di ordine istituzionale: la lunga durata del mandato presidenziale sconsiglierebbe un bis, che all’epoca non si era mai verificato. Sul piano politico poi era rimasto deluso dall’incoerenza e dall’inconcludenza delle forze politiche che avevano prima sostenuto il governo Monti e promesso riforme costituzionali ed elettorali, poi ne avevano ostacolato l’azione. Inoltre vi erano le difficoltà personali: l’età, le condizioni fisiche, la stanchezza. Lo aveva detto, ripetendolo pure per iscritto, a molti interlocutori e ai leader dei principali partiti.

Perché cambiò idea?

Per due fatti. Il primo accadde dopo il fallimento dell’intesa bipartisan su Franco Marini e poi sul nome di Romano Prodi. E fu la richiesta di accettare un secondo mandato avanzata dalla quasi totalità dei partiti e dei gruppi, cui si aggiunsero l’appello corale dei presidenti delle regioni e l’insistenza di tanti parlamentari e di autorevoli interlocutori, in Italia e fuori.

Il secondo fu la consapevolezza che il paese era bloccato, senza un governo e con un parlamento diviso. Lo spread era alto, rischiavamo una procedura d’infrazione europea sui conti pubblici: fu impossibile rifiutare. La situazione del 2013 era non meno complessa di quella odierna, che almeno vede una nuova, positiva iniziativa europea per la crescita e il sostegno alle situazioni di difficoltà e disagio sociale.

La rielezione sbloccò la situazione, consentendo la nascita di un governo di larga coalizione e l’avvio delle riforme costituzionali. Ma poi la sentenza di condanna definitiva di Silvio Berlusconi e le lotte dentro la maggioranza e dentro il Pd si scaricarono sull’azione del governo e del parlamento vanificando gli impegni presi.

Non crederemo più ai no. Nel linguaggio del palazzo, c’è un dettaglio che anticipa se un presidente resterà nonostante i dinieghi?

È difficile da dire: noi avevamo preparato tutto per il trasloco al Senato, che poi non avvenne, tranne che per i libri del presidente che rimasero a palazzo Giustiniani. Quel che contò, e conta sempre, è il peso della realtà. Nessuna personalità istituzionale vive fuori dal corso degli eventi. Che a volte impongono svolte impreviste. O decisioni indesiderate.

Le dimissioni di Napolitano arrivarono dopo due anni. Si disse perché non voleva oltrepassare la soglia dei nove anni, che corrisponde alla durata di un presidente della Consulta, la carica istituzionale più longeva del nostro sistema.

Non ricordo che questo argomento abbia pesato. Napolitano era stanco e provato. Pesò molto il fatto che, in un quadro politico diverso da quello del 2013, stava giungendo a conclusione l’iter di un’ampia riforma istituzionale, poi bocciata dal referendum del 2016. In più il governo Renzi era saldamente in carica, il paese poteva contare su una relativa stabilità. La macchina istituzionale era stata rimessa in moto. Decise di aspettare la fine del semestre di presidenza dell’Ue e si dimise il giorno dopo.

Il discorso del reincarico di Napolitano e quello di Mattarella hanno avuto toni molto diversi. Quali sono le differenze principali, a suo avviso?

Sono differenti come lo sono le due personalità. A parte questa ovvia constatazione, Napolitano parlava a un parlamento appena eletto e a forze politiche che durante le consultazioni avevano dato luogo a una autentica babele. Invece Mattarella si rivolge ad assemblee che hanno davanti un anno di vita in cui una larga maggioranza sostiene un governo nella pienezza dei suoi poteri. Oggi i tempi e le prospettive del lavoro parlamentare sul terreno delle riforme sono diverse, anche per gli impegni assunti dal nostro paese verso l’Europa.

Alla dura sferzata di Napolitano alle forze politiche, non è seguito il percorso riformatore a cui il parlamento aveva tributato ampi applausi. Oggi anche Mattarella ha esortato il parlamento alle riforme. Il rischio è che, come ieri, fatto il santo, venga gabbata la festa?

Spero proprio di no. Qualche commentatore ha scritto che gli applausi a Napolitano erano segno di inganno e ipocrisia, mentre quelli a Mattarella di gioia e sollievo. Una analisi ingenerosa e sommaria di eventi che richiederebbero più attenzione storica e finezza interpretativa delle mosse dei partiti e del parlamento. In ogni caso la rielezione del 2013 rimise in moto il dialogo tra le forze politiche, nonostante le posizioni distoniche dei Cinque stelle.

Quello di Napolitano è diventato un precedente, nonostante lui abbia sottolineato la straordinarietà di quel bis?

Speciali furono le condizioni in cui si giunse a chiedere un secondo mandato. Nel 2013 le votazioni erano in corso senza esiti, la maggioranza di governo non trovava un’intesa, i due candidati espressi dal centrosinistra non avevano raccolto i consensi necessari. Ed erano due candidati di rilievo, personalità di lunga esperienza politica che avevano ricoperto incarichi istituzionali e politici. Marini era stato presidente del Senato, Prodi era stato presidente del Consiglio e della Commissione europea.

Non si intravedevano proposte realistiche che facessero uscire dallo stallo un paese sempre sull’orlo della bancarotta, segnato da problemi di credibilità. Tutta la successiva condotta del presidente Napolitano – come la sobrietà della cerimonia del secondo giuramento e l’abolizione del ricevimento del 2 giugno – fu coerente con l’idea dell’eccezionalità del secondo mandato.

Nelle scorse settimane l’ipotesi di Berlusconi al Colle sembrava concreta. Sarebbe stata la nemesi per Napolitano, visto che l’allora Cavaliere è decaduto durante il suo mandato?

La decadenza di Berlusconi dal mandato parlamentare avvenne per una legge approvata a larga maggioranza dal parlamento precedente, non per effetto di uno dei fantomatici complotti dei quali Napolitano avrebbe tenuto le fila.

Quali erano i rapporti fra Napolitano e Berlusconi?

Il presidente non poteva che avere rapporti politici e istituzionali con Berlusconi, esponente politico, parlamentare e presidente del Consiglio. Vi furono momenti di consonanza, come dopo il terremoto dell’Aquila e durante la presidenza del G8.

Certamente vi furono momenti di divergenza, e forti tensioni, che poi costringevano l’instancabile Gianni Letta a riprendere le fila dei rapporti. In una occasione si udirono provenire dall’ufficio del presidente alte grida, alle quali in seguito seppi che il presidente reagì con la calma che lo contraddistingue nei momenti difficili. Poi venne il momento delle scuse. Anche dopo quell’occasione i rapporti ripresero la via della collaborazione istituzionale.

C’è chi sostiene che nel 2010 è stato Napolitano a chiedere di rinviare la mozione di sfiducia di Fini, dando il tempo a Berlusconi per tirare dalla sua, in alcuni casi comprarsi, qualche parlamentare.

In realtà l’esigenza di approvare in parlamento le leggi di Stabilità e di Bilancio, dandogli la precedenza sulla discussione di una mozione di sfiducia al governo Berlusconi, derivava da una necessità oggettiva, di fronte alla difficile situazione finanziaria internazionale, e si muoveva nel solco di una decisione simile presa alla fine del 1994 da Scalfaro.

Del resto, sull’importanza di dare un segnale di continuità e di rigore approvando nei tempi stabiliti le leggi di bilancio per il 2011 tutti allora convennero, e di tale comportamento Napolitano diede pubblicamente atto.

Quel che accadde poi, con la ricerca affannosa in parlamento di voti per il governo – la «campagna acquisti» – fu un ulteriore segno della crisi delle forze politiche, dell’indebolimento del parlamento e della pochezza delle classi dirigenti.

Ora, dopo la rielezione di Mattarella, il parlamento si è ripreso la sua centralità o la crisi della politica è irreversibile?

A mio avviso, sulla base dell’intesa per l’elezione di Mattarella si può confidare in un processo positivo per superare i punti di crisi delle istituzioni, della democrazia e dell’economia italiana. Vedremo se quell’intesa saprà affrontare le sfide dei prossimi mesi.

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