Francesco è un giovane gay, vive a Mestre, è credente e praticante. Quando si accosta al confessionale e parla della sua omosessualità al parroco, il sacerdote gli nega l’assoluzione prima e l’ostia poi, assicurandosi che la comunità riunita per la messa percepisca il secco rifiuto. Sergio è un ex seminarista cremonese di mezza età che organizza pellegrinaggi con gruppi di omoaffettivi cristiani. Durante uno di questi, sulla via Francigena, entra in una chiesetta e chiede al prete una benedizione per i pellegrini. «La vostra è una malattia e va curata – si sente rispondere – Cristiano e omosessuale sono due termini in contraddizione».

Valeria e Marta sono una coppia di lesbiche. Hanno deciso di avere un figlio con inseminazione artificiale e di battezzarlo all’età di tre mesi. Il sacerdote acconsente ma, al momento del rito, prega una delle due donne di uscire «perché non è la mamma naturale».

La famiglia di Giovanni, una moglie e due figlie, è profondamente cattolica. Quando la figlia più piccola parla della sua omosessualità al papà, dopo una prima fase di riflessione, i genitori e la sorella pensano che la vita, ovviamente, dovrà continuare come sempre. Ma alle grosse difficoltà incontrate dalla ragazza a scuola, si aggiunge la sensazione di non essere accolta nella parrocchia di cui tutta la famiglia è membro fedele da sempre.

Praticanti e Lgbt

La lista naturalmente è molto più lunga e agli episodi si potrebbero aggiungere le dichiarazioni e i documenti ufficiali, gli articoli, i catechismi, le prese di posizione pubbliche di rappresentanti della chiesa cattolica, consacrati o laici, che tuonano contro qualsiasi apertura provenga dalla gerarchia: un sistema rodato da secoli che arriva ripetutamente e sistematicamente a discriminare le persone in nome di Gesù, non volendosi rassegnare all’avanzare dell’evo contemporaneo.

Dall’altra parte, però, con sempre maggiori convinzione e numeri, troviamo individui dalle diverse tendenze sessuali, che, digerito il rigetto, scelgono pervicacemente di continuare a credere. Di più: di sentirsi parte integrante della chiesa. Sergio, ad esempio, ha fondato il gruppo di fedeli Lgbt “Le querce di Mamre” «perché in ambiente cattolico fai fatica a parlare di omosessualità e c’è bisogno di luoghi dove cristiani omoaffettivi si sentano a proprio agio e al contempo in cui fedeli Lgbt ed etero, possano avvicinarsi e conoscersi».

I genitori di Francesco, il ragazzo gay di Mestre, hanno dato vita qualche settimana fa al movimento Lgbt “Siamo tutti figli di Dio”. La figlia di Giovanni si è allontanata dalla Chiesa, ma «non da Dio», tiene a ribadire il padre. Il papà e la mamma hanno costituito “La chiesa della tenerezza”, un gruppo di Pescara che accoglie i “non accolti”, almeno ufficialmente, dalla Chiesa: separati, divorziati e persone Lgbt.

Esiste una galassia di circa trenta associazioni sparse in tutta Italia e poi ci sono le esperienze di parrocchie o singoli gruppi che raccolgono un migliaio di persone regolarmente impegnate più un numero enorme di altre che guardano a queste realtà come luoghi sicuri o punti di riferimento per una radicale, diffusa riforma di indirizzi pastorali, teologici così come dottrinali.

Voci sempre più forti

La loro voce per decenni inesistente o al massimo flebile, sta guadagnando decibel all’interno della Chiesa cattolica e creando brecce anche in contesti inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Certi di un ruolo ben definito e del contributo che possono offrire, esistono e resistono volendo con tutte le forze restare dentro la chiesa. Ingaggiano una battaglia al calor bianco doppiamente faticosa: rispetto al resto della popolazione omo o diversamente affettiva, dopo aver lottato per affermare liberamente la loro identità nella società, combattono per guadagnarsela in uno degli ambienti più storicamente a loro antitetici. Un compito improbo che potrebbe ingenerare nuove sofferenze.

Lo dimostra chiaramente la ricerca Religione e omosessualità, a cura del dipartimento di psicologia dell’Università di Firenze, Università Bicocca di Milano e gli Istituti Miller e Beck. Si tratta di uno studio empirico sull’omofobia interiorizzata di persone omosessuali in funzione del grado di religiosità, pubblicata per la prima volta nel 2010.

La ricerca scandaglia l’impatto degli insegnamenti del magistero cattolico sulla vita delle persone omosessuali. Lo studio evidenzia quanto la fede cattolica influenzi pesantemente il modo in cui gay e lesbiche valutano la loro omosessualità, e mostra chiaramente che Lgbt cattolici vivono un’omofobia interiorizzata decisamente più alta di quella dei non credenti.

Per “omofobia interiorizzata”, spiega il testo messo a disposizione gratis nel proprio sito dal progetto “La Tenda di Gionata”, una delle realtà più attive nell’ambiente dei credenti Lgbt, «si intende quell’insieme di sentimenti negativi (come ansia, disprezzo, avversione) che gli omosessuali provano nei confronti dell’omosessualità, propria e altrui. Un fenomeno che può avere un impatto profondo sull’individuo, facendolo sentire sbagliato e portando a isolamento e auto-esclusione sociale, oltre che vergogna, depressione e angoscia».

«Ma noi scegliamo una via diversa dalla contrapposizione, crediamo fortemente che siamo noi a dover accompagnare la Chiesa verso una nuova comprensione perché semplicemente la Chiesa, certe cose, non le sa né le capisce al momento. La nostra presenza la costringe a confrontarsi e, alla fine, a reagire», spiega Edoardo Zanone, responsabile della comunicazione di Progetto giovani cristiani Lgbt, un lungo passato di appartenenza al movimento dei focolari, ora convinto praticante. Come quella volta che, al termine di un pellegrinaggio da Siena a Roma, il 14 agosto del 2017, un gruppo di una trentina di fedeli Lgbt, mischiati tra la folla di fedeli radunati a piazza San Pietro srotola un lenzuolo durante l’angelus con scritto “I pellegrini gay & lesbiche salutano Papa Francesco”. «E il Papa ci ha risposto: “Saluto i pellegrini della via Francigena”, speravamo in un riferimento più esplicito, ma fu comunque un momento importante».

Il ruolo di Francesco

Papa Francesco, in questo percorso dalla negazione alla luce, ha un ruolo decisivo. Il 28 luglio 2013, nel corso del viaggio di ritorno da Rio de Janeiro, dopo aver preso parte alla Giornata mondiale della gioventù, pronuncia la famosa frase «se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?».

Una rivoluzione copernicana. Innanzitutto, come sottolinea Simone Cerio nel portale Religio.it, «il termine gay usato per la prima volta in modo esplicito da un papa pubblicamente, è un evento epocale. Da un punto di vista semantico nominare vuol dire esistere, una certificazione avvenuta dopo millenni di nascondimenti».

Andrea Rubera è il portavoce dell’associazione “Cammini di speranza”. Ha un marito e tre figli. Al termine della messa a Santa Marta, nell’estate del 2015, dà una lettera a papa Francesco, nella quale si esplicita la volontà dei due genitori di mandare i figli a catechismo. Il Papa lo chiama al telefono.

«Fu un’emozione incredibile – racconta Rubera –. Capii subito che non era uno scherzo anche perché il Papa andò subito al punto: “Ho letto la sua lettera e mi ha molto colpito, ma qual è il problema? Lei deve andare e portare i bambini al catechismo, si introduca, spieghi chiaramente e vedrà che troverà accoglienza. È una cosa giusta per i suoi figli e per lei”».

Nel frattempo le dichiarazioni di Bergoglio, contenute nel documentario "Francesco" di Evgeny Afineevsky, fanno il giro del mondo. In un passaggio il Papa dice, in spagnolo: «Le persone omosessuali hanno diritto a stare in una famiglia, sono figli di Dio. Non si può cacciare via da una famiglia nessuno o renderlo infelice. Si deve fare una legge di convivenza civile, hanno diritto ad essere coperti legalmente».

Le frasi suscitano entusiasmo da una parte, polemiche al vetriolo dall’altra, e gli ambienti cattolici più retrivi si affrettano ad attaccare il regista, reo di aver estrapolato le dichiarazioni da un contesto in cui il Papa avrebbe addirittura voluto affermare il contrario. L’estrapolazione, in effetti, c’è stata e a sentire il discorso integrale, si può restare incerti sull’intento del pontefice. Ciò su cui non può avere dubbi, però, è la cronaca: né il Papa né la sala stampa vaticana hanno mai smentito né, tantomeno, negato il via libera alla pubblicazione del documentario.

Carola Bosi, una catechista lesbica piacentina, fin da bambina molto impegnata in movimenti e percorsi parrocchiali diche che «è stato un incredibile volano. In meno di sette anni sembra di essere avanzati di cento. L’operazione più clamorosa che ha compiuto è stata rimuovere il “non detto”, il celato, ha cominciato a chiamare le cose con il loro nome, in altre parole ci ha fatto esistere».

Una battaglia difficile

La battaglia per il riconoscimento degli omosessuali è iniziata anni fa, ma è avanzata molto lentamente.

Matteo Mennini, storico del Cristianesimo all’Università Roma tre, spiega che «i primi movimenti nascono sul finire degli anni Settanta a Torino, Milano, Padova, ma prima che comincino a emergere da una dimensione catacombale, passerà molto tempo. Con due tappe fondamentali: il Gay pride del 2000, nel bel mezzo del Giubileo e la reazione che tutta la comunità Lgbt ebbe quando, nel 2008, la Santa sede si oppose duramente alla depenalizzazione universale dell’omosessualità proposta dalle Nazioni Unite. A quel punto, moltissimi credenti Lgbt decisero di uscire allo scoperto».

«Ma non ingaggiando un muro contro muro – dice Innocenzo Pontillo, tra i fondatori di “Progetto Gionata”, il più grande portale di fede e omosessualità in Italia – L’unica speranza di far cambiare la Chiesa è suscitando dubbi e interrogativi. E, se non lo facciamo noi, chi mai lo farà?».

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