Quando si parla di fuorionda, complotti, ricatti di famiglia la storia repubblicana ha una lunga e non del tutto nobile tradizione. Bisogna tornare indietro di settant’anni, al cadavere di una ragazza ritrovato a venti chilometri da Roma sulla spiaggia di Torvajanica, in località Capocotta, l’11 aprile 1953. Per una giornata la ragazza resta sul bagnasciuga coperta da un lenzuolo, poi viene identificata dal padre e dal fidanzato, è romana e ha 21 anni, si chiama Wilma Montesi.

Dopo cinque giorni l’inchiesta si chiude con la conclusione di morte accidentale, dovrebbe finire lì, invece passa qualche settimana e sulla stampa cominciano a uscire le prime notizie, orchestrate chissà da chi. C’è la «diffusa convinzione» che la ragazza non fosse da sola al momento dell’annegamento, scrive il Corriere della sera. Più espliciti sono i fogli di destra (il Roma di Achille Lauro) e di sinistra (il romano Paese sera), che parlano del coinvolgimento del figlio «di una nota personalità politica». Il questore di Roma in un comunicato afferma che la polizia non intende «compromettere il figlio di una nota personalità politica non nominata, tuttavia individuata in chiare allusioni», una smentita che conferma. Chi è il figlio? In una vignetta compare un reggicalze in bocca a un piccione. E un corsivo sul settimanale satirico di destra Il Merlo giallo consegna un altro indizio: «Le “note personalità” non possono sparire senza lasciare tracce come piccioni viaggiatori».

Piccioni è Attilio Piccioni, è il numero due di Alcide De Gasperi, uomo timorato, vedovo da venti anni, padre di quattro figli, candidato numero uno alla successione nella Dc e alla guida del governo. Il figlio Piero Piccioni, noto come Piero Morgan, è musicista di professione, sarà l’autore delle colonne sonore di quasi tutti i film di Alberto Sordi. Nell’Italia anni Cinquanta ha tutte le caratteristiche del colpevole: è democristiano, figlio di un potente, abita vicino San Pietro, ma fa il musicista, suona il jazz, addirittura. Sarà arrestato, tra moralismo, curiosità morbosa, allusioni pornografiche sulla stampa scatenata, e poi scagionato da ogni accusa. Ma la carriera politica del padre sarà spezzata senza rimedio.

I fascicoli del Sifar

Non esistevano, all'epoca, i siti, i social, il gossip esisteva solo per le teste coronate e per le stelle del cinema, la stampa ufficiale non si occupava delle debolezze dei potenti. La macchina del fango, durante il regime fascista, funzionava per nascondimento, si muoveva sotterranea, non produceva materiale destinato alla pubblicazione.

Ma già negli anni Cinquanta i potenti, specie i cattolici modello, dovevano stare attenti a far coincidere i comportamenti privati con la reputazione pubblica. Era una politica in cui il privato era quasi inesistente. In casi rarissimi le foto finivano sui rotocalchi: il ministro Mario Scelba paparazzato in compagnia femminile in via Veneto, pubblicato su un giornale nemico. Ma erano come colpi di pugnali che brillavano nel buio, come una minaccia. I ricatti veri restavano occultati nei fascicoli del Sifar, nei dossier dei servizi destinati alle fiamme e non alle copertine o alla messa in onda.

In settant’anni è ovviamente cambiato tutto: il rapporto tra il privato e il pubblico, il ruolo della politica. Ma soprattutto c’è un format tra la politica (e la personalizzazione della politica), il giornalismo, l’informazione, la satira, un mescolone che costituisce il modello italiano (di comunicazione, di via allo scandalo, e forse anche di politica), unico in Europa e con pochissimi paragoni nel mondo.

L’eredità del Ventennio fascista era stata la delazione raccolta dagli apparati di polizia, l’eredità del Ventennio berlusconiano è l’elevazione del gossip ad arma di lotta politica, e rischia di restare uno dei lasciti più resistenti del defunto fondatore di Forza Italia. «Una cattiveria mai vista prima», ha detto Giorgia Meloni, senza spiegare da chi arrivi questa cattiveria. Eppure, nonostante tutti i tentativi della stampa d’area di chiamare in causa la sinistra (che nel campo editoriale e mediatico è se possibile in questo momento ancora più debole che nel campo politico), il caso di Andrea Giambruno è tutto nato, costruito e montato in casa del centrodestra, nell’habitat in apparenza amico degli studi televisivi di Mediaset, una eventualità che da solo basta a incrinare la fiducia tra Giorgia Meloni e Marina e Pier Silvio Berlusconi.

Il personalismo della politica

E nel berlusconismo si ritrovano tutti gli ingredienti indispensabili per mettere in tavola i due fuorionda raccolti durante «una fortunosa pesca estiva», come ha detto Antonio Ricci. Il più importante è la personalizzazione della politica, con il seguito di scandali a sfondo privato. Trent’anni fa Berlusconi è stato il primo a introdurre in Italia l’io in politica, la biografia come messaggio e programma politico: non si vota per un’idea, si vota per una persona.

«Se mi votate diventerete come me», è il messaggio elettorale più profondo e efficace di Berlusconi, con gli spot e ancor più con il rotocalco Una storia italiana, 128 pagine e 250 foto del Cavaliere, consegnato nel 2001 per la campagna elettorale nelle cassette della posta a dodici milioni di famiglie, in cui l’uomo che a scuola «svolge tre compiti invece di uno», che si è fatto da solo, che ama la famiglia, si presenta come il salvatore dell'Italia.

La conseguenza indesiderata è che da quel momento in poi nella competizione politica per prevalere sull’avversario non si devono più abbattere le idee, ma le persone, le loro vite, la loro credibilità. I sexy-scandali erano tipici in altri paesi dei sistemi presidenziali, segnavano le carriere politiche, da Bill Clinton con Monica Lewinsky a François Hollande beccato felice in scooter mentre andava dall’attrice Julie Gayet.

A ricevere il frutto avvelenato della personalizzazione è lo stesso Berlusconi, dal 2009 in poi, dopo la festa di compleanno di Casoria con Noemi Letizia, quando Veronica Lario Berlusconi rompe in pubblico il matrimonio con il marito presidente del Consiglio (al pari di quanto ha fatto la presidente del Consiglio Meloni con il suo compagno Giambruno).

Il “metodo Boffo”

Il 2009 è l’anno chiave perché i media berlusconiani si scatenano prima di tutto sul direttore di Avvenire Dino Boffo, travolto dalla pubblicazione di un falso documento sui suoi orientamenti sessuali sul Giornale. È l’atto di nascita della macchina del fango, poi brevettata. L’inventore ufficiale della definizione, il trattamento o il metodo Boffo, è un anno dopo il compianto Giorgio Stracquadanio, prematuramente scomparso, giornalista e deputato berlusconiano con il gusto della battuta anti-conformista: «Per Fini ci vuole il trattamento Boffo», afferma sul Fatto Quotidiano (31 luglio 2010), nei giorni in cui sull’allora presidente della Camera comincia ad abbattersi lo scandalo della casa di Montecarlo, tutto interno, come oggi, al violento scontro tra i capi della destra, con la sinistra a guardare.

I giornali della famiglia Berlusconi indagano sui traffici immobiliari della famiglia Tulliani imparentata con Gianfranco Fini, aprono una campagna per le sue dimissioni. «Di cattiverie posso vantare una collezione», ha infatti osservato ieri il fondatore di Alleanza nazionale, che sulla casa di Montecarlo è ancora imputato in un processo per riciclaggio.

Non si parlava di gossip allora e neppure oggi, ma di lotta politica, a bassa intensità ma violenta e crudele come erano le operazioni mirate in epoca di Guerra fredda, perché mira a raccogliere le occasioni, le debolezze, gli inciampi, i fuorionda per indebolire la sicurezza dell’avversario, togliere ogni serenità tra le mura di casa, impedire ogni via di fuga, trasformare i familiari in nemici.

Così il berlusconismo è stato sconfitto sul piano politico, Forza Italia è un alleato minore, sul piano elettorale si batte per la sopravvivenza, come da ultimo dimostrano le elezioni di Bolzano, Trento e Foggia. Ma ha fondato un costume, un comportamento, un codice per costruire le fortune politiche e poi rovesciarle. Come sa bene Giorgia Meloni che ha reagito con durezza intuendo che le cattiverie non sarebbero finite. Il suo «non sono ricattabile» di un anno fa è per lei una bandiera, ma i suoi avversari (interni) non perderanno occasione per provare a smentirla.

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