Il 31 gennaio scadrà ancora una volta lo stato di emergenza. Si parla di estenderlo al 31 luglio, forse al 31 marzo, ma una sola cosa è certa: sarà prorogato. Non sorgeranno forse le polemiche delle proroghe precedenti, ma le considerazioni al riguardo restano le stesse.

«Lo stato di emergenza ci consente di tenere in piedi la macchina della protezione civile, del commissario straordinario Arcuri…», aveva detto Conte a ottobre. Ma protrarre l’emergenza - e con essa i poteri del commissario, le deroghe alla normativa ordinaria e tutto il resto - fino a quando il virus sarà debellato sembra una forzatura non da poco.

Ora l’emergenza è quella vaccinale, poi chissà. Eppure era noto da mesi che il vaccino sarebbe arrivato intorno a fine anno: la necessità di allestire quanto sarebbe servito non era imprevedibile.

La realizzazione del “piano strategico”

Il “piano strategico”, definito intorno a metà dicembre, non è completo, specifico ed esaustivo in ogni passaggio, per usare un eufemismo.

A livello centrale sono stabiliti «le procedure, gli standard operativi e il lay-out degli spazi per l'accettazione, la somministrazione e la sorveglianza degli eventuali effetti a breve termine», mentre il resto – localizzazione dei siti, coordinamento operativo degli addetti, controllo sull’esecuzione delle attività ecc. - va predisposto a livello regionale.

Ci si sarebbe aspettati che il piano scendesse a un livello di specificazione maggiore, per orientare in maniera precisa l’organizzazione. Invece, l’operatività concreta spetta alle regioni, con la differente efficienza che le caratterizza e che già si vede.

Il vaccino anti-Covid andrebbe considerato come una prestazione essenziale, la cui erogazione dovrebbe essere garantita in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Evidentemente, il governo non lo considera tale.

Peraltro, se è vero che la competenza sulla sanità è regionale, la profilassi epidemiologica è materia dello Stato (art. 117, lett. q, Costituzione). In una pandemia sarebbe stato il minimo fissare paletti e obiettivi vincolanti per le Regioni, anche per rendere chiare le responsabilità in termini di pianificazione, allestimento ed esecuzione.

Ciò avrebbe reso più agevole al governo verificarne il rispetto, nonché esercitare poteri sostitutivi, in caso di mancanze (art. 120, c. 2, Cost.).

Invece, l’organizzazione resta frammentata, come da tradizione italica. Ciò renderà più difficile individuare di chi è la colpa per ciò che non funziona e più facile l’usuale scaricabarile. Se questo rimpallo già non era tollerabile prima, ancora meno lo è oggi, quando le speranze di tutti sono nel vaccino.

La situazione attuale e il sistema previsto

Nel piano si dice che la governance «verrà assicurata dal coordinamento costante tra il ministero della Salute, la struttura del Commissario straordinario e le regioni e province «utonome». Questo coordinamento richiede «un sistema informativo efficiente ed interfacciabile con i diversi sistemi regionali e nazionali», per ottimizzare processi quali forniture o programmazione e gestione delle sedute vaccinali.

Serve assicurare «funzionalità omogenee su tutto il territorio nazionale» relativamente – tra le altre cose – a chiamate e prenotazioni, registrazione e certificazione della vaccinazione, richiami, calcolo puntuale delle coperture vaccinali, “vaccinovigilanza e sorveglianza immunologica”.

Cosa si sa delle «piattaforme progettate ad hoc», necessarie per «tracciare e rendicontare tutte le attività», per implementare le risorse informative del sistema sanitario nazionale e per raccordare quest’ultimo con i sistemi sanitari regionali?

Al momento poco o nulla, anche se le vaccinazioni sono iniziate il 27 dicembre con la grancassa. Evidentemente, il flop di Immuni, riconducibile all’assenza di un efficace sistema di coordinamento tra centro e regioni predisposto in tempo utile e in modo adeguato, con idonea formazione del personale, non ha insegnato niente.

Il cronoprogramma

Arcuri è incaricato della logistica nella distribuzione dei vaccini, ma i tempi vaccinali non si esauriscono in essa, che è solo una tessera di un puzzle complesso. Eppure il commissario continua a fornire date ottimistiche sul prosieguo delle vaccinazioni, come fosse il dominus del tutto. Ma le scadenze indicate – come visto - non dipendono solo da lui, che quindi non dovrà rispondere del loro rispetto. Intanto, però, se ne fa vanto, salvo scaricare alla bisogna le responsabilità per le inefficienze.

Peraltro, garantire date significa anche dire alle persone quando saranno vaccinate. Ciò oggi è ignoto quasi a tutti, e non solo perché – tra le altre cose - non sono ancora definiti i tempi dei vaccini in arrivo, di assunzione e formazione dei vaccinatori, di allestimento dei centri vaccinali, padiglioni-primula inclusi. Il fatto è che non sono nemmeno esattamente individuati gli appartenenti a ciascuna categoria da vaccinare.

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Basti pensare alla varietà di soggetti e situazioni che possono rientrare in quella dei “disabili” e loro “accompagnatori”, citati da Arcuri in una conferenza stampa.

Il commissario, peraltro, nell’esternare ottimistiche scadenze, pare non considerare variabili rilevanti. Dalle vaccinazioni da fare in luoghi difficili da raggiungere o a chi ha difficoltà di spostamento, alla necessità di fornire spiegazioni a chi le richieda prima dell’iniezione. I tempi stimati per singola vaccinazione ne saranno influenzati, così come risentiranno di altri inevitabili imprevisti.

Arcuri è il commissario per l’emergenza, ma alla fine la colpa dei risultati sarà sempre di qualcun altro. Arcuri rimarrà al proprio posto finché dura l’emergenza, perché da lui dipende la sua gestione, ma la narrazione è che l’emergenza dura perché non tutto dipende da Arcuri. Per avvitarsi in un’emergenza perenne, con Arcuri protagonista, il sistema è perfetto.

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