Quella nei Cinque stelle è stata la prima crisi interna a un partito consumatasi via chat, non in un congresso ma su WhatsApp. Barbara Lezzi ha annunciato venerdì di aver silenziato le notifiche della chat del Movimento. Ex ministra per il Sud esclusa dal governo Conte 2, già volto delle proteste del territorio pugliese contro il gasdotto Tap, oggi Lezzi è un po’ il simbolo della crisi di legittimità dei vertici del Movimento. Per non essere triturata dallo scontro interno, si sfila: «Voglio prendermi una pausa dalla chat. Non voglio, per un po’, neppure vedere le notifiche sul display. Le mie opinioni le conoscete, non sono cambiate, farò uno sforzo per farmi andare bene il matrimonio con il Pd se così si deciderà (al 90 per cento)».

La politica delle chat ottiene così la dignità che le compete ormai da almeno due anni: mentre lettori ed elettori si concentrano sulla comunicazione social, sui post su Instagram di Matteo Salvini o sulle dirette Facebook di Matteo Renzi, da tempo le cose serie succedono nell’ombra dei gruppi WhatsApp. La app di messaggi offre poche opzioni di creatività, eppure ogni forza politica e ogni leader trova il modo di combinarle in base alle proprie esigenze e strategie di comunicazione: c’è Info Salvini-Lega, per esempio, una chat in cui possono postare solo gli amministratori del gruppo e che viene aggiornata con lunghi messaggi in cui si segnalano in maniera zelante tutte le ospitate del leader della Lega, seguiti a stretto giro da messaggi per seguire in diretta sulla pagina Facebook tutti gli eventi. Ieri mattina, per esempio, è apparso un titolo tutto maiuscolo: “SALVINI: AUMENTO DI STIPENDIO? PRESIDENTE INPS CHIEDA SCUSA E SI DIMETTA” (vicenda complicata: Pasquale Tridico, voluto dai Cinque stelle, aveva dovuto tagliarsi lo stipendio per darne metà a un vice voluto dalla Lega, ora torna a 150mila euro). Dopo la dichiarazione, link a Facebook e in un attimo le parole del leader leghista finiscono su tutti i siti.

Altri, come il portavoce di Nicola Zingaretti o quella di Giorgia Meloni, usano le liste broadcast: l’amministratore scrive a un gruppo selezionato, chi riceve non sa di esserne parte e il messaggio si presenta come una normale comunicazione diretta WhatsApp. Uno stile forse più invasivo, ma di sicuro più efficace: non si sa mai quanti altri colleghi leggano lo stesso messaggio e c’è la possibilità di chiedere direttamente chiarimenti in privato. Ogni giornalista o parlamentare ha l’illusione di ricevere una comunicazione diretta dal leader.

La comunicazione istituzionale

Chi vive di politica, ormai, ha il telefono intasato di notizie, soprattutto quando si attivano le chat aperte, come quella dello spin doctor Marco Agnoletti, denominata semplicemente Renzi, o quella dedicata al ministro della Salute Roberto Speranza, caldissima durante la pandemia: qui chiunque può intervenire, e non sempre i contenuti sono realmente attinenti all’argomento della chat. A volte a qualcuno dei partecipanti parte un messaggio sbagliato, destinato ad altri, e viene immediatamente commentato da qualche collega, amico. Sulla chat Giornalisti Salute si è aperto di recente un appassionato dibattito su «panta zampa mania», il ritorno dei pantaloni a zampa, nel quale qualcuno ha colto «un riferimento implicito alla sottosegretaria» Sandra Zampa del Pd.

Alcuni ministeri hanno trasformato WhatsApp nel canale di comunicazione più istituzionale, che svolge una funzione un tempo riservata alle agenzie di stampa. Invece che dettare le dichiarazioni all’agenzia, oggi i portavoce le scrivono nella chat, possono poi rispondere alle richieste di chiarimento dei giornalisti, specificare se qualcosa può essere attribuito direttamente al ministro, se bisogna indicare “fonti del ministero” o, al contrario, se l’informazione è soltanto di contesto e dunque non va attribuita. Nel caso del ministero del Tesoro, la chat via WhastApp è diventata imprescindibile negli anni durante i quali la comunicazione era affidata a Roberto Basso (oggi dirigente di Wind-3) e al ministero si alternavano Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan e Giovanni Tria.

(Foto Unsplash)

Il codice Casalino

Chi ha trasformato la politica WhatsApp in una specie di forma d’arte è Rocco Casalino, il portavoce del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nei suoi due anni al vertice, Casalino ha sviluppato un linguaggio specifico per dare indicazioni ai giornalisti non soltanto sul contenuto, ma anche sul modo di presentare le notizie. “Off Chigi”, per esempio, vuole dire che si può citare palazzo Chigi ma soltanto off the record, con quelle formule criptiche che nessun lettore davvero capisce tipo “ha confidato Conte ai suoi collaboratori” oppure “confidano fonti di palazzo Chigi”. E fin qui è tutto standard, ma Casalino condisce il tutto con formule che servono a trasmettere un senso di confidenza, a dare al cronista l’illusione di essere il depositario (forse anche l’unico depositario) delle riflessioni più segrete del presidente del Consiglio, o almeno di Casalino: «Dettro tra noi: i pezzi sul Mes sono lunari, perché Conte ripete la stessa cosa da mesi», oppure «tra me e te, da non pubblicare» o ancora «hai letto?» (segue qualche articolo della stampa internazionale che elogia o almeno non critica l’operato del governo).

Rocco Casalino (Foto Fabio Cimaglia / LaPresse)

In alcune rare occasioni, Casalino si spinge un passo oltre «ho bisogno di una mano», e segnala qualcosa a cui tiene particolarmente che poi, di solito, viene riportato in modo quasi letterale da siti e giornali.

Mentre le telecamere dei talk show continuano a inseguire in strada i politici e cercano di immortalarli durante segreti conciliaboli con alleati o avversari, i magistrati hanno capito perfettamente che ogni cosa passa da WhatsApp.

Il paradosso è che tutti, a cominciare dai politici, sanno quanto è facile che le comunicazioni digitali diventino pubbliche eppure la tentazione di risolvere una questione delicata dentro una chat, magari con un messaggio vocale, è troppo forte. La procura di Pavia che indaga sui test sierologici decisi dalla regione Lombardia ha acquisito una copia di tutti i contenuti del cellulare del governatore leghista Attilio Fontana, che per quel filone non è neppure indagato. Dentro ci saranno sicuramente informazioni interessanti anche sul suo conto in Svizzera con 5,3 milioni di provenienza ancora da spiegare e sulla commessa di camici all’azienda del cognato, in piena pandemia. Se diventeranno pubblici, la quasi scissione della Lezzi via chat verrà presto dimenticata e WhatsApp diventerà lo spazio di ben altri terremoti politici.

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