Marco Damilano sostiene che un governo tecnico sarebbe solo una scorciatoia politica per opporsi al governo Meloni. Ha perfettamente ragione, ma forse non basta: per molti elettori sfiduciati di sinistra sarebbe anche un vero e proprio incubo psicopolitico. Se la scelta fosse di nuovo tra la destra e il governo tecnico, l’unico capro espiatorio continuerebbe a essere la sinistra.

Per conto mio, temo di aver finito gli argomenti razionali: solo la categoria psicanalitica della coazione a ripetere può spiegare questo accanimento del Pd nel sequestrare lo spazio politico della sinistra insistendo con proposte di governi che di fatto inibiscono ogni possibilità di politiche realmente di sinistra.

Questa coazione a ripetere non nasce solo dall’evidente incapacità della destra di governare, ma anche da un vuoto identitario che continua a non essere affrontato e viene sostituito da meccanismi proiettivi d’ogni genere, a partire da quello che crede di riscattare il vuoto d’identità tramite la forza di un leader (ma è così difficile capire che non può esistere il leader forte di un partito debole?

E che l’unico modo per rafforzare un leader non è sabotarlo ma consegnarli un partito non balbettante circa se stesso?). Il governo tecnico rappresenterebbe l’istituzionalizzazione di questo vuoto identitario.

Un meccanismo dilatorio tipico di chi si illude per l’ennesima volta di poter sopravvivere senza affrontare la propria crisi. Eppure il Pd ha dietro di sé degli esempi più che eloquenti di partiti che hanno cronicizzato il proprio vuoto identitario: basta rivolgersi alla galassia dei partitini di sinistra, che, incapaci di riconoscere il proprio vuoto, si limitano a occupare passivamente qualche angolino impolverato di potere.

La questione è così molto semplice: se la scelta è di nuovo tra la destra e il governo tecnico, l’unico capro espiatorio continua ad essere la sinistra. Mi si permettano, a questo proposito, due brevi riflessioni. La prima concerne il paragone tra Berlinguer e Napolitano. Insieme alle innegabili analogie, tra il compromesso storico di Berlinguer e l’ossessione del governo tecnico di Napolitano vi è una fondamentale differenza.

Il Pci non era un partito alle prese con un vuoto identitario, ma piuttosto con un “troppo pieno”. L’idea di società e della sua possibile trasformazione era così radicale ed alternativa da incutere timore. Il compromesso storico non rappresentava una resa unilaterale di un partito senza più contenuti, ma una strategia di rassicurazione nei confronti di una parte del mondo rispetto a un’identità così forte da apparire anche una minaccia.

Gli esiti di questa strategia sono certamente controversi, ma non è qui che bisogna discuterne. Ciò che mi pare chiaro è che fu una scelta politica, non psicopolitica, proprio perché aveva a che fare con un partito saturo d’identità, non vuoto.

Strategia psicopolitica

Al contrario il partito che Napolitano decide di traghettare facendone il perno dei governi tecnici è già un partito disorientato, che proviene da due decenni di progressivo svuotamento culturale e politico. Il governo tecnico non rispose dunque a un tentativo di declinare la propria identità in forma differente rispetto al passato, ma al tentativo di sopravvivere al vuoto d’identità che si era venuto a creare, rimuovendone ogni consapevolezza attraverso l’imposizione di un ultimo simulacro, il significante vuoto del potere per il potere. Il compromesso storico era una strategia politica, probabilmente sbagliata. L’ossessione per il governo tecnico è una strategia psicopolitica, rivolta a sopravvivere politicamente rimuovendo il proprio vuoto identitario.

Una seconda riflessione nasce da una domanda: c’è qualche differenza tra gli ultimi governi tecnici e un eventuale governo tecnico di adesso? La differenza sta nel fatto che il mondo di oggi non è più quello di dieci anni fa. Le diseguaglianze sono cresciute così tanto che i più poveri sono diventati disperatamente poveri, nel senso che non c’è più nulla che gli si possa ulteriormente togliere; i tagli alla spesa pubblica hanno così tanto destrutturato il Welfare da non riuscire più a garantire i diritti fondamentali a coloro che non hanno i soldi per poterseli garantire privatamente.

Il che vuol dire semplicemente che le risorse da sfruttare ulteriormente per un’eventuale terza via si sono ormai esaurite. Le difficoltà del governo Meloni esprimono proprio questa evidenza.

Persino la destra non può più dissimulare il proprio intento, poiché non c’è più margine per tagliare ulteriormente la spesa pubblica se non dando il colpo di grazia definitivo a tutta la struttura di solidarietà sociale che ha garantito per decenni i servizi universali per tutti.

La destra non può che far la destra, senza poter più usare il trucco della moderazione: usare ancora e di nuovo il paradigma dell’austerity per abbandonare a se stessi coloro che non possono permettersi di comprare i servizi attraverso cui avere assicurati i propri diritti fondamentali.

Ma anche il governo tecnico nascerebbe sotto la tutela dell’Europa dell’austerity, non dell’Europa capace, per esempio, di mettere fuori dal conteggio del patto di stabilità le spese sociali essenziali.

Allo stato attuale e per ciò che concerne le conseguenze sociali (su altri terreni ovviamente le cose sarebbero ben diverse), non vi sarebbe differenza tra la destra e un governo tecnico. Semplicemente perché, giunti a questo punto, non esiste più una mediazione possibile.

Redistrubuzione

Ma c’è anche una buona notizia. Se non si può più tagliare nulla che sia universale – cioè che riguardi tutti, con la differenza che non tutti siamo uguali, per cui qualcuno potrà comprarsi ciò che abbiamo tagliato e qualcun altro sarà abbandonato a se stesso – perché il fondo del barile è stato abbondantemente raschiato, allora non resterà che tagliare per qualcuno, cominciando davvero a tassare tutti coloro che in questi anni hanno accumulato abbastanza da potersi permettere di fare a meno per se stessi del welfare che garantisce tutti.

La contesa politica dei prossimi mesi non potrà che essere questa: o neo-austerity o sinistra. O destrutturazione finale del modello socialdemocratico o presa di posizione radicale e senza più tentennamenti circa la necessità di una redistribuzione radicale. Illudersi, con la scusa del governo tecnico, di non prendere posizione è già prendere posizione.  

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