Il problema di fondo del Pd è lo stesso degli altri partiti di sinistra europei: come contrastare le disuguaglianze sociali e recuperare la rappresentanza dei gruppi sociali più deboli che hanno virato verso l’astensione e verso formazioni di nuova destra radicale. Essi non si sentivano più rappresentati da partiti che avevano sostanzialmente accettato le politiche della destra.

De-regolazione, ridimensionamento di welfare e relazioni industriali, più spazio al mercato. Dietro questa nuova ‘offerta politica’ della Terza Via si sente dunque l’influenza della cultura neo-liberista. È certo positivo il riconoscimento pieno da parte della sinistra del mercato come grande calcolatore al servizio dell’uomo, come diceva lo storico Fernand Braudel. Ma il mercato può funzionare come migliore strumento di efficienza economica a condizione che sia regolato da istituzioni che contrastino la tendenza a costruire rendite aggirando la concorrenza.

E che si contrastino le disuguaglianze che il mercato stesso, se non regolato, alimenta continuamente con gli scossoni che produce sulla società. Gli ultimi decenni hanno mostrato ampiamente le criticità della de-regolazione e della globalizzazione.

Si è dunque avviato un processo di revisione dell’offerta politica della sinistra che ha il suo nodo cruciale nella capacità di mettere a punto politiche redistributive efficaci contro le disuguaglianze che allo stesso tempo sostengano la crescita (welfare e politiche fiscali, relazioni industriali, politiche per l’innovazione e l’ambiente). I partiti nordici, e anche la Spd dopo Schroeder, si sono spinti più avanti in questa direzione, ma il processo non è compiuto. Nel Pd non è invece davvero iniziato.

I critici del renzismo (la forma italiana della Terza Via) si sono concentrati su aspetti relativi al partito, come la leaderizzazione e le filiere di potere locali. La cultura della maggioranza che ha vinto tra gli iscritti resta ancora influenzata dalla Terza Via renziana. Essa fa da sfondo a un debole “riformismo governista” che ha finora evitato persino di discutere le ragioni della perdita di milioni di voti.

E che usa il rapporto con i Cinque Stelle della nuova segretaria come misuratore dì riformismo e strumento di difesa negli equilibri interni. Se Elly Schlein non vuol fare la fine di coloro che l’hanno preceduta, dovrebbe allora innalzare il livello del confronto e sfidare i riformisti sul terreno  dell’efficacia della loro proposta rispetto al contrasto delle disuguaglianze e allo sviluppo inclusivo, contrapponendogli un progetto più credibile e efficace di riformismo sul quale confrontarsi, non solo una lista di singole questioni, per quanto importanti. Non bastano le iniziative pur apprezzabili dell’estate militante. Occorrerebbe uscire presto dalla condizione per cui oggi si può solo dire “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". 

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