La poltrona da affidare all’amico e all’uomo di fiducia viene prima di tutto. Anche a discapito degli interessi dei cittadini. Che si parli di burocrazia dell’Inps o di un disastro naturale, Giorgia Meloni e Matteo Salvini non fanno sconti. Pensano agli incarichi. Ne sanno qualcosa le migliaia di persone colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna, che attendono risposte dalle istituzioni.

Le richieste sono prigioniere di un wargame politico. Così i sindaci si muovono come possono, senza una prospettiva, nell’attesa che nel governo finiscano i litigi sulla nomina e sul perimetro d’azione del commissario. Un auspicio frustrato: nemmeno il veto sull’avversario Stefano Bonaccini mette d’accordo Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Anzi, non fa che aumentare le tensioni.

Il caso Musumeci

L’ultimo caso è deflagrato con le parole della premier Meloni, che di imperio ha indicato il ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, come referente degli enti locali. L’ex presidente della Regione Sicilia si avvarrà del viceministro delle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, uno dei fedelissimi della premier. Si è arrivati alla creazione di un “non-commissario”, con una cabina di coordinamento, a immagine e somiglianza di Meloni.

Solo che gli alleati erano ignari della strategia pigliatutto di Palazzo Chigi e non l’hanno presa bene, a cominciare dal vicepremier Matteo Salvini. «Lo sapevano solo alcuni giornali», è la posizione della Lega. «Inventiamo ruoli, quando Bonaccini sarebbe già pronto», è la tesi espressa da ampi settori di Forza Italia.

Le nomine bloccate

Fatto sta che oltre ai battibecchi di Palazzo, c’è la vita reale. Ed è lungo l’elenco dei problemi in sospeso, destinati a crescere per l’assenza di una struttura commissariale post alluvione, la naturale deputata alla pianificazione dei primi interventi e degli indennizzi da erogare a imprese e famiglie. Senza una “centrale unica”, gli oltre 100 comuni e le 6 province coinvolte vanno in ordine sparso, cercando di mettere qualche cerotto alle situazioni più gravi con il supporto della regione Emilia-Romagna.

Il commissario, insomma, potrebbe focalizzarsi sulle priorità. Su tutte c’è la necessità di operare in deroga per la messa in sicurezza dei territori colpiti dalle frane e per le pulizie dei corsi d’acqua: tipi di intervento che non possono essere compiuti seguendo la via ordinaria, perché richiederebbero mesi. Inoltre, la struttura commissariale avrebbe la funzione, in sinergia con i ministeri competenti per materia, di avviare la fase di ricostruzione.

«Sarebbe inaccettabile e vergognoso, che per ragioni politiche si tardasse nella scelta del commissario», si sfoga Gessica Allegni, sindaca di Bertinoro, comune di 11mila abitanti tra Forlì e Cesena colpito dall’alluvione. «Sarebbe ancora più grave - aggiunge - se si facesse una scelta troppo slegata dalla conoscenza del territorio e dei problemi che abbiamo, oltre che delle relazioni coi sindaci e i vari enti».

Un invito a fare presto, rilanciato dal sindaco di Cesena, Enzo Lattuca: «Ci sono aziende e intere comunità ancora isolate. Aspettano risposte dalle istituzioni. Il tentennamento sulla struttura commissariale rischia di diventare pericoloso», dice a Domani. Da qui l’appello: «I procedimenti ordinari non sono compatibili con la situazione attuale. Chiediamo che si faccia come per gli altri disastri naturali».

Inps e Inail

Del resto in materia di commissari, il centrodestra tende a incartarsi con facilità, come testimonia un’altra vicenda, meno drammatica ma altrettanto significativa: il continuo rinvio della nomina dei vertici di Inps e Inail. Pasquale Tridico e Franco Bettoni sono stati rimossi con il decreto Enti da oltre un mese, sono ufficialmente presidenti commissariati, ma senza un commissario al loro posto. Il termine per l’indicazione di un nome era fissato per il 31 maggio.

Tra un litigio e l’altro ne sono stati bruciati in sequenza e dal governo si sono affannati a specificare che la scadenza indicata dal decreto non fosse perentorio. Intanto sui tavoli dei due istituti si accumulano faldoni e dossier, ci sono convenzioni da vagliare, assunzioni da portare avanti, risposte da fornire agli altri enti. Invece si va avanti solo con l’ordinaria amministrazione.

Lollobrigida in declino

La contesa non è solo relativa alla presidenze: in ballo ci sono i due posti di direttore generale decaduti con l’intero cda, con una forzatura senza precedenti. I ruoli in genere erano sempre stati distinti. Ma il partito di Meloni non ne vuol sapere: sotto la regia del ministro Francesco Lollobrigida, puntava inizialmente a piazzare all’Inps come presidente Mauro Nori, attuale capo gabinetto della ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, e Fabio Vitale, direttore dell’Agea (agenzia che eroga risorse alle imprese agricole) proprio dietro indicazione di Lollobrigida, nelle vesti di direttore generale. Le alternative a Vitale erano altri due dirigenti d’area meloniana: Enzo D’Amato e Valeria Vittimberga.

Alla Lega sarebbe andata solo la presidenza dell’Inail e l’altro dg sempre a FdI. Il banco è saltato prima per gli scontri interni a Fratelli d’Italia, che hanno azzoppato il progetto di Lollobrigida in parziale declino nelle gerarchie di governo, e poi per i litigi con la Lega, che vorrebbe due delle caselle disponibili tra presidenze e direzioni generali. Il risultato è la paralisi da spartizione.

Con l’ex senatore Maurizio Castro l’avvocato Gabriele Fava in corsa per l’Inps e Stefano Cervone in pole per l’Inail. Ma di questi tempi nemmeno i diretti interessati sanno cosa può accadere davvero. Con la fame di poltrone che porta al digiuno.

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