Il Gran giurì d’onore sul Mes è finito in burla. Non ci sarà alcun verdetto. L’organismo è stato sciolto e non sarà presentata una relazione sulle parole della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in merito all’approvazione del meccanismo salva-Stati durante il governo Conte bis.

La premier, in parlamento, aveva sostenuto che fosse stato dato il via libera al trattato dopo la caduta di quell’esecutivo. Il leader del Movimento 5 stelle ha così messo nero su bianco la volontà di rivolgersi a un organismo super partes, appositamente costituito, perché le affermazioni di Meloni non erano vere.

Gran giurì: la decisione di Fontana

Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha assunto la decisione dopo le dimissioni, arrivate nel tardo pomeriggio di mercoledì 7, dei deputati Filiberto Zaratti (Alleanza verdi-sinistra) e Stefano Vaccari (Partito democratico) per «mancanza di terzietà» della commissione, che ha portato alla mossa finale di Giuseppe Conte: il ritiro della richiesta di istituzione dell’organismo.

Per l’intera mattinata, in Transatlantico, ci si era interrogati sul da farsi: il rischio era l’approvazione di una relazione a maggioranza con una forzatura senza pari. Alla fine si è giunti alla soluzione più onorevole.

Insomma, l’unico risultato è la sfilata di Conte e Meloni nei giorni scorsi: ognuno aveva portato le proprie ragioni nell’attesa del giudizio definitivo dell’organismo di Montecitorio, che viene convocato su specifiche richieste presentate dai deputati.

Fontana, si apprende, ha voluto ringraziare Giorgio Mulè per «l’accuratezza e la precisione del lavoro svolto e per la perfetta aderenza al regolamento della Camera della procedura seguita per giungere alla relazione finale», limitandosi a prendere atto del venire meno delle esigenze di Conte.

Mancata imparzialità

«Lo scioglimento del Gran Giurì da parte del presidente della Camera Fontana è la conclusione più logica ed equilibrata», ha commentato Vaccari. Il parlamentare dem è comunque tornato sulla propria scelta: «Sono stato costretto, con dispiacere, a rimettere il mandato a salvaguardia della terzietà del Gran Giurì per non consentire che venissero sviliti i compiti e la missione attraverso conclusioni parziali che rischiavano di mettere in discussione il potere di indirizzo del Parlamento rispetto all'Esecutivo, così come avevo segnalato nella mia lettera di dimissioni».

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