Una è l’appassionata ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, l’altra, più introversa, è quella delle Pari opportunità e della famiglia, Elena Bonetti. La prima, ex bracciante di Ceglie Messapica (Brindisi) a pochi secondi dal discorso del presidente Sergio Mattarella, scrive su Facebook: «Ognuno dovrà fare la propria parte. Come ha detto il presidente, quest’anno è l’anno dei costruttori. Mettiamoci al lavoro: noi ci siamo». La seconda, docente universitaria di matematica nata a Asola (Mantova), stessa tempistica e quasi stesse parole: «Ripartiamo con fiducia, rimettendoci in gioco, ciascuno facendo la propria parte. Adesso è il tempo della ripartenza».

Non sono le parole di chi è così insofferente al governo da aver voglia di levare le tende. Le due sono convinte di fare la loro parte: la prima è una delle madri della legge per la regolarizzazioni dei braccianti (che ha anche un padre, il ministro per il Sud, Peppe Provenzano). La seconda ha portato a casa il Family act, un pacchetto di incentivi e detrazioni per giovani coppie e famiglie con figli che partirà proprio in questi giorni. E invece entrambe hanno le valigie pronte. Perché, come hanno detto ai colleghi, di nuovo all’unisono, «se Renzi me lo chiede, mi dimetto».

La Befana porta consiglio

Del consiglio dei ministri in cui si decidono le sorti del governo non c’è ancora una data. Per il chiarimento finale Matteo Renzi ha fissato la scadenza alla fine delle feste, dunque orientativamente il 7 gennaio. A sua volta il premier Giuseppe Conte ha spiegato di voler portare «il Recovery plan in consiglio dei ministri nei primi giorni di gennaio». Per Renzi Conte «ha sbagliato a chiudere così la verifica di governo».

Così, cioè male: il 30 dicembre il secondo giro di consultazioni della maggioranza, quello con i ministri Gualtieri e Amendola, è finito in un nulla di fatto con Iv. O meglio: dal lato dei ministri il confronto «è stato costruttivo», dal lato della delegazione (le ministre Bellanova e Bonetti, i presidenti dei gruppi Maria Elena Boschi e Davide Faraone) «Gualtieri ci ha dato ragione su molti punti». In effetti a quell’incontro l’unico momento di tensione è stato sul Mes. Gualtieri ha spiegato «che non ci possiamo indebitare oltre il limite fissato dalla Nadef», quindi l’idea di Renzi di impiegare tutti i prestiti europei per progetti aggiuntivi «è improponibile». Faraone e Boschi hanno protestato.

Le concessioni di Conte

In queste ore Conte lavora alla cruciale «sintesi», un nuovo testo del piano. A seconda della fonte la data del consiglio dei ministri varia fra lunedì e giovedì. Prima ci sarà qualche confronto informale, forse solo telefonico, con esponenti della maggioranza. Non un incontro fra i leader: viene considerato più prudente non convocarlo finché non arriva l’accordo. Si farà dopo, ammesso che ci sia un dopo. Conte, viene riferito, farà non poche «concessioni» ai 62 punti del documento di Iv, oltreché a ciascuno dei partiti della maggioranza.

Così se le due ministre, presa visione del nuovo piano, decideranno di non votarlo, il premier potrà dire che le richieste di Renzi erano strumentali e miravano solo a far saltare il banco. Il testo potrebbe essere approvato a maggioranza dal Cdm e poi atterrare in parlamento per un voto di fiducia. Qui la crisi potrebbe formalizzarsi: il premier potrebbe verificare di non avere più una maggioranza e salire al Colle da dimissionario, come nell’estate 2019. In questa road map non tutto torna. Ad esempio: la richiesta del Pd è che il piano sia «emendabile» in parlamento, il che cozza con il voto di fiducia.

Partita di poker

Conte non crede alle minacce di Renzi e per questo, come in una partita di poker, piazzerà sul tavolo la mossa «vedo». Ma lo farà in base a una sicurezza che ormai in molti attribuiscono ai suoi cattivi consiglieri. Ancora a proposito delle sicurezze di Conte, dai senatori sospettati di fare da stampella a un Conte-ter senza Iv ieri sono piovute smentite: da Gaetano Quagliariello, uno dei tre di Cambiamo con Toti (gli altri due sono Paolo Romani e Massimo Berruti) e dal segretario Udc Lorenzo Cesa a nome dei suoi tre, Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone.

Smentite anche dal vicesegretario dem Andrea Orlando, cui retroscena di stampa attribuiscono una parte attiva nella ricerca di voti “responsabili”. L’aggettivo “attivo” non si può in alcun modo affiancare al Pd in questa partita. Il segretario Nicola Zingaretti, fra i primi a chiedere a Conte più condivisione, non vuole associare il suo nome alla crisi. «Siamo contro l’avventurismo di Renzi ma anche contro l’immobilismo di Conte», dice un deputato a lui vicino, «questa crisi è tutta sbagliata, se la vedano loro due».

E così il governo ora è appeso alle due ministre con le valigia. Ironia della sorte, in un ipotetico rimpasto, era un’altra coppia di donne a essere considerata in partenza: la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e quella dei Trasporti, Paola De Micheli. Sulla prima sta per cadere addosso l’ennesimo fallimento della riapertura delle scuole: i contagi tornano a crescere, dal Pd agli scienziati, ora sono in molti a chiedere un rinvio della data del 7 gennaio. La seconda è cordialmente detestata anche dal suo partito. Ma è andata così: Renzi ha aperto la crisi da solo dunque sarà la coppia Bellanova-Bonetti a dover decidere se passare la mano.

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