Come ogni anno, il meeting di Rimini detta i toni della ripartenza della politica dopo la pausa estiva. E quelli ascoltati dal palco di Comunione e Liberazione, affollato di membri del governo, sono tra il teso e il belligerante.

Da fine settembre, infatti, si incroceranno due eventi nevralgici e tra loro interconnessi. Entrerà nel vivo la stesura della legge di Bilancio, la prima a immagine e somiglianza dell’esecutivo e di cui Meloni si assumerà la pena responsabilità politica.

Contemporaneamente, si aprirà la corsa alle elezioni europee del 2024: con legge proporzionale, i partiti della maggioranza – che fanno parte di tre diverse famiglie europee – correranno da soli e in competizione reciproca. Sarà inevitabile, quindi, che proprio nella Finanziaria ogni forza politica vorrà far pesare la sua influenza, tentando di strappare fondi per progetti da rivendicare poi in campagna elettorale.

Non a caso, nel primo giorno di meeting il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha messo le mani avanti. I soldi sono pochi, «non si potrà finanziare tutto» e il governo dovrà concentrarsi su poche e specifiche priorità: taglio del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi e promuovere la crescita. Di più, ha ribadito che è insostenibile ritoccare le pensioni: troppo bassa la natalità, troppo poche le risorse disponibili.

Parole al vento: i due alleati di minoranza, Matteo Salvini e Antonio Tajani, si sono esercitati proprio sui desiderata di cui riempire la legge di bilancio. Uno su tutti, proprio le pensioni. Del resto, sia la Lega (di cui Giorgetti stesso è esponente di spicco) che Forza Italia hanno avuto come cavallo di battaglia della scorsa campagna elettorale proprio l’aumento delle pensioni. «La priorità è aumentare stipendi e pensioni. Mettendo quello che riusciremo a ricavare, ad esempio risparmiando sul reddito di cittadinanza», sono state le parole di Salvini.

Gli ha fatto eco il ministro degli Esteri Tajani: tutti d’accordo con il duo Meloni-Giorgetti sulla priorità di tagliare il cuneo fiscale in modo da aumentare gli stipendi, ma «il secondo intervento deve riguardare le pensioni». Tajani si è spinto anche a fare le cifre: «Noi di Forza Italia vogliamo arrivare a 1000 euro al mese entro la fine della legislatura. Con la scorsa legge di bilancio le abbiamo aumentate a 600, ora bisogna andare avanti, magari a 700».

FI all’attacco

Se su questo attaccano uniti, Lega e FI si sono divisi gli altri totem con cui incalzare la premier. Salvini, ormai convinto che il miraggio del ponte di Messina sarà il suo progetto simbolo, si è spinto a promettere che «al padiglione del Mit che troverete al Meeting di Rimini il prossimo anno ci saranno le telecamere aperte sui cantieri che nel 2024 di questi tempi saranno aperti».

Forza Italia, invece, ha scelto la strada dei distinguo. Tajani - spronato anche dalla famiglia Berlusconi che male ha digerito l’attacco alle banche che colpisce anche quella di famiglia, Mediolanum – ha ribadito i suoi no alla tassa sugli extraprofitti. «Contesto il modo con cui si è pensato di farlo» ha detto, spiegando che andranno escluse le banche di territorio e ponendo FI come baluardo a presidio del sistema creditizio, anche nei confronti del governo.

Una risolutezza nuova rispetto al suo carattere, che tuttavia si spiega con la fase complicata del partito. Ad oggi, infatti, il ministro è l’unico candidato al congresso per la leadership di FI che si svolgerà in febbraio. Davanti agli occhi ha la soglia di sbarramento del 4 per cento alle europee, alle spalle un partito che potrebbe sgretolarsi da un momento all’altro, con elettori ed eletti pronti a guardare agli altri due partiti di destra.

Per arginare la frana Tajani sembra aver trovato la sua parola d’ordine, testata proprio davanti alla platea moderata di Cl: «Liberalizzare», rilanciando il vecchio refrain berlusconiano dello Stato liberale «che deve essere meno presente, perché meno Stato e quindi meno tasse e più impresa significa poi trovare altri fondi per la crescita». Come? «Si possono privatizzazione alcuni servizi, come i porti», guarda caso di competenza del ministero dei Trasporti, presidiato da Salvini.

Dalla Puglia, la premier Meloni osserva i movimenti degli alleati. Per ora si tratta di schermaglie, ma sono l’avvisaglia del clima che troverà nei prossimi consigli dei ministri. La Finanziaria sarà osservata anche in Ue e con cui la premier sa di giocarsi una buona quota di credibilità. Sa già di avere in Giorgetti una sponda, ma le richieste degli alleati andranno contenute, soprattutto quelle di puro tornaconto elettorale. Come farlo, si vedrà.

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