La professione di atlantismo del governo Meloni arriva fin dentro gli smartphone degli italiani, con l’idea di bloccare l’uso di TikTok per i lavoratori statali. L’ipotesi del ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, si è consolidata dopo la presa di posizione contro il popolare social cinese degli Stati Uniti e in seguito alla decisione della Commissione europea, che ha sollecitato i dipendenti a cancellare dai telefonini, entro il prossimo 15 marzo, l’app di proprietà del colosso asiatico del settore ByteDance. Il motivo? La tutela dei dati personali. Un’accusa che ByteDance ha respinto.

«Il mio ministero, avendo 3,2 milioni di dipendenti, è fortemente coinvolto», ha detto Zangrillo, ricordando come il tema sia «all’ordine del giorno da poco». Tuttavia, l’esecutivo ha intenzione di lanciare un segnale quanto prima: «Già la prossima settimana dovremo confrontarci e cercare di arrivare a una sintesi». Con una promessa: «Prenderemo una decisione in fretta». Nel dettaglio, quindi, non è ancora nota come potrebbe essere applicata la misura: nell’Ue la linea è quella dell’eliminazione di TikTok dai dispositivi usati dai dipendenti per motivi di lavoro.

La Cgil frena Zangrillo

Ma i sindacati invitano alla prudenza. E chiedono un confronto al governo «prima di assumere un provvedimento del genere», dicono a Domani i rappresentanti di Cgil e Fp, la sigla che raccoglie i lavoratori della Pa. «Si tratta di un argomento delicato, perché agire sui device dei dipendenti pubblici pone diversi problemi» spiegano i vertici del sindacato di Corso d’Italia, aggiungendo che «se sono in dotazione da parte dell’amministrazione si può regolamentare l’accesso alle piattaforme in quanto “strumenti di lavoro” e va applicato lo statuto dei lavoratori». D’altra parte, incalzano, «se sono strumenti personali viene da chiedersi se può lo stato interviene con un blocco di accesso alla rete».

Le dichiarazioni di Zangrillo sono esattamente una sorpresa. Già a gennaio è stato avviato un approfondimento da parte del Copasir per avere un quadro chiaro sui rischi legati all’uso del social cinese. La questione, dal punto di vista tecnico, è stata girata all’Agenzia per la cybersicurezza personale, che ha fatto sapere di aver iniziato lo studio degli elementi a disposizione per fornire un resoconto sugli eventuali problemi. La vicenda non ha solo un piano tecnico, ma porta con sé un risvolto politico. Su questo punto il centrodestra conferma una strategia politica ancorata all’Europa e più in generale alla linea atlantista, senza incorrere in eventuali divisioni interne, come accaduto su altre questioni, su tutte l’invio delle armi all’esercito ucraino.

Muraglia cinese

La muraglia anti TikTok mette d’accordo la premier Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, dato che i partiti del centrodestra, Lega inclusa, hanno sempre assunto una postura molto critica nei confronti di Pechino. Peraltro ci sarebbe l’ulteriore vantaggio di trovare una solida sponda con le principali forze di opposizione, a cominciare dal Partito democratico.

Il deputato dem, Enrico Borghi, componente del Copasir, su TikTok ha sempre sostenuto la presenza di un «doppio problema», rappresentato da «un’estrazione di dati sensibili nella nostra popolazione, in particolare in quella più fragile e inconsapevole dei giovani e minorenni» e dalle possibili «campagne di disinformazione che possono essere condotte attraverso questo strumento».

Insomma, il Pd non farebbe barricate, soprattutto dopo il warning giunto dall’Unione europea. Anche perché si punta a coinvolgere gli altri paesi membri più importanti, come Francia e Germania.

La strada per l’attuazione del ban al social cinese non è tuttavia semplice, sotto vari profili. «Attenzione», avverte infatti Mara Mucci, ex deputata ed esperta di pubblica amministrazione digitale, perché «lo stesso discorso si potrebbe estendere anche alle piattaforme americane. Non è valido solo con TikTok. Se l’amministrazione Usa chiedesse a Google di fornire dati di utenti italiani, l’azienda dovrebbe obbedire».

Ma, conclude Mucci, «in questo caso la situazione geopolitica rende più critica la posizione della piattaforma cinese». Infine, dalla Cgil rilanciano la questione della condivisione dell’intervento: «Senza informazioni e trasparenza qualsiasi provvedimento sarebbe un atto unilaterale, che non fornisce elementi per valutare se i rischi presunti debbano avere un intervento restrittivo di tale portata. Mai verificatosi prima».

© Riproduzione riservata