Sta passando sotto silenzio un disegno di legge costituzionale, a firma di Adriano Paroli (FI), che meriterebbe, invece, molta attenzione. Si tratta della «modifica all’articolo 77 della Costituzione», che estende da 60 a 90 giorni il termine entro cui i decreti legge possono essere convertiti in legge dal parlamento.

L’abuso

Nonostante i decreti legge possano essere adottati dal governo soltanto «in casi straordinari di necessità e di urgenza» (art. 77 della Costituzione), nel corso del tempo essi sono diventati «lo strumento di gran lunga prevalente attraverso il quale i governi esercitano l’iniziativa legislativa», come nel febbraio scorso osservava in una nota il presidente della Repubblica. Al di là delle emergenze previste dal dettato costituzionale, i decreti sono diventati il mezzo attraverso cui gli esecutivi soddisfano le proprie “urgenze” politiche.

La proliferazione dei decreti legge e le loro dimensioni via via maggiori, date dal carattere sempre più multisettoriale degli stessi in violazione del requisito dell’omogeneità, determinano un ingorgo legislativo che può minare il corretto funzionamento dei lavori parlamentari.

Basti pensare che dall’inizio della legislatura in corso e fino al 30 giugno 2023, su 43 leggi approvate, 25 sono leggi di conversione di decreti legge. Come rileva Openpolis, il governo di Giorgia Meloni ha al momento superato gli esecutivi precedenti quanto alla media mensile di decreti legge (3,83).

Le storture

Tra le criticità legate all’abuso e alla mole dei decreti legge c’è innanzitutto il “monocameralismo alternato”. In sostanza, la durata dell’istruttoria svolta dalla prima camera di approdo lascia tempi strettissimi all’attività dell’altra camera, che costringono quest’ultima ad approvare la legge di conversione senza un esame adeguato. E questa tendenza si va rafforzando: la percentuale di casi di conversione senza ritorno nel primo ramo di esame è passata, infatti, dall’88 per cento della XVII legislatura al 95,2 per cento della XVIII.

In secondo luogo, come rilevato anche dal capo dello stato in una nota del 23 luglio 2021, «la moltiplicazione dei decreti legge, adottati a distanza estremamente ravvicinata», sta determinando «un consistente fenomeno di sovrapposizione e intreccio di fonti normative».

Ad esempio, la confluenza di un decreto legge in un altro durante la conversione di uno di essi (“decreti matrioska”) o la modifica di un decreto ancora in corso di conversione a opera di uno successivo.

Il disegno di legge

Estendere a 90 giorni il termine per la conversione dei decreti legge rappresenta una toppa messa alle pratiche distorsive cui si ricorre per evitarne la decadenza. Nonostante il problema – l’abuso dei decreti legge – sia a monte, il disegno di legge interviene a valle, lasciando vigenti più a lungo atti normativi provvisori – i decreti legge – a scapito della certezza del diritto.

In altre parole, mentre servirebbe un freno al proliferare dei provvedimenti governativi e alla eterogeneità che caratterizza il loro contenuto, il disegno di legge ne “legittima” l’abuso, adattando all’abuso stesso i tempi di conversione dei decreti da parte delle Camere.

Non può che derivarne un ulteriore rafforzamento dell’esecutivo, il cui potere legislativo è già predominante rispetto a quello del parlamento. Si pensi, ad esempio, all’uso di decreti legge anche nei casi in cui basterebbe la legge ordinaria, all’eccessivo ricorso alle questioni di fiducia, all’esercizio di deleghe legislative indeterminate nei contenuti.

I rimedi che servono

Per limitare le criticità, servirebbe che l’adozione di decreti legge fosse «realmente limitata ai soli casi straordinari di necessità e urgenza», come afferma la Corte costituzionale. Solo questa limitazione può consentire un esame ordinato in sede parlamentare. In altre parole, se si ricorresse ai decreti legge solo nei casi previsti dalla Costituzione, anziché farne un uso “politico”, si sgraverebbero le camere dalla necessità di procedere a getto continuo alle relative conversioni.

Ed evitando l’uso politico si eviterebbe altresì l’eterogeneità delle materie trattate, con l’allungamento dei tempi istruttori.

Soprattutto, come rilevato ancora dal Quirinale, occorrerebbe «un’adeguata capacità di programmazione legislativa da parte del governo» e «una corrispondente attitudine del parlamento a consentire l’approvazione in tempi ragionevoli dei disegni di legge ordinaria». Purtroppo, non è questa la strada che si sta seguendo.

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