La regione Lazio si è tirata indietro, dopo aver concesso il patrocinio al pride di Roma per i diritti Lgbqti+, previsto per il prossimo sabato, la giunta di destra presieduta da Francesco Rocca ha deciso di ritirarlo. Come hanno notato gli organizzatori, dopo una nota dell’associazione Pro Vita & Famiglia. Nella spiegazione divulgata dalla giunta si legge che il problema è l’utero in affitto. Nel manifesto politico pubblicato sul sito della manifestazione chiamata “Queeresistenza”, fa sapere l’amministrazione, si trova «l'imposizione della legalizzazione di azioni illegali e vietate dall'ordinamento italiano». La firma istituzionale della Regione Lazio «non può, né potrà mai, essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto». Il tema è di attualità, anche perché il 19 giugno è attesa in Aula la proposta di legge che rende la maternità surrogata un reato universale.

Un crescendo

La regione adesso dice alle associazioni del pride che non sono stati rispettati i patti. Ma il manifesto è online già dalla fine della settimana scorsa accessibile a tutti: «Vogliamo il riconoscimento del certificato europeo di filiazione, perché la libertà di circolazione dellə nostrə figliə e delle nostre famiglie non può essere compressa da un governo illiberale e reazionario». E ancora: «Vogliamo gli stessi diritti che sono riservati alle coppie cis-etero in termini di accesso alle adozioni e alla procreazione medicalmente assistita, mettendo fine a un’assurda discriminazione».

E quindi anche il passaggio incriminato: «Vogliamo una legge che introduca e disciplini anche in Italia una gestazione per altri (Gpa) etica e solidale». Di fatto chiedono che vengano estesi gli stessi diritti e le stesse tutele giuridiche, assistenziali, socio-sanitarie, burocratiche, amministrative di cui godono le famiglie cis-etero, a tutti i tipi di famiglia, a prescindere dalla loro specifica formazione.

Per giorni non è successo nulla. Poi il comunicato di allarme dei Pro Vita ieri mattina, con tanto di videodenuncia del portavoce Jacopo Coghe. «Ci chiediamo se il centrodestra non sia in preda ad una schizofrenia perché il documento politico del Pride, al quale è stato dato il patrocinio, è chiaro», si legge. Per poi festeggiare quando è arrivata la frattura, esaltata dai big del partito di Giorgia Meloni, tra cui Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, e anche dai volti meno noti, come Maria Rachele Ruiu, candidata non eletta di Fratelli d’Italia che dell’associazione fa direttamente parte: «mamma pro-life and pro-family», si presenta sui social «Pro Vita resterà presidio perché la #RegioneLazio non sia mai veicolo dell'ideologia #gender e #LGBT». Immediato anche il tweet del vicepremier leghista Matteo Salvini: «Sostegno alla propaganda dell'utero in affitto? No, grazie».

Il pride non ha intenzione di eliminare il logo della regione: «La Regione Lazio conosceva le rivendicazioni e i contenuti politici della manifestazione», ha spiegato con una nota il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli che quest’anno compie 40 anni ed è tra i promotori. «Siamo ormai alla farsa “Pro Vita ordina e la politica esegue”», ha detto Mario Colamarino portavoce del Roma Pride. Ma lui è convinto che una risata li seppellirà: «Con l’ironia che ci contraddistingue ringraziamo Pro vita per averci offerto un servizio di ufficio stampa gratuito».

Si aspettano «una folla oceanica che crede nei diritti, nell'uguaglianza e nella laicità», con sottofondo di Paola e Chiara, le cantanti madrine della sfilata di quest’anno. Il Lazio non è «di un manipolo di talebani cattolici», dice ancora Colamarino che propone loro di assoldare «qualche hacker russo, ungherese o polacco per fare rimuovere» il logo. Immutato l’appoggio del centrosinistra. Il sindaco Roberto Gualtieri ha confermato che sarà in piazza, e il leader della Cgil Maurizio Landini si prepara a partecipare a un talk della Pride Croisette mercoledì.

 

© Riproduzione riservata