Come scrisse quel tipo con tante consonanti, tutte le famiglie felici si assomigliano, ma ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo. La colpa è spesso dei cognati, ormai è evidente, una lobby terribile, non se ne parla abbastanza. Sono un’insidia imparabile, non sai mai chi ti metti in casa. Alberto Sordi lo diceva della persona che finisci per sposare, figuriamoci se non vale per il fratello che lui-lei si porta appresso, o peggio ancora, il marito di tua sorella, quello, non ancora contento di avertela portata via di casa. Arriva e si allarga, allunga le gambe sul divano.

Tu gli sorridi perché vuoi bene a lei e quello si prende il ministero dell’Agricoltura con tutta la mano. Viene la domenica a pranzo, a tavola ti fa una testa così con Manzoni patriota, in fondo si presenta bene. Ha frequentato il fronte giusto, il movimento giusto, ha pure preso la laurea all’università telematica del sindaco di Terni.

Allora fai una telefonata, gli arriva la gestione delle Acque del sud e santa pazienza, quello con la razza e l’etnia, ti mette in cattiva luce con Mattarella. Va a parlare di florovivaismo e non s’accorge che sta mischiando la lana con la seta, i gladioli con i femminicidi.

Storie di cognati

La vita sa essere crudele. Insomma, prima che arrivasse a prendersi la scena Francesco Lollobrigida, una dozzina d’anni fa il cognato della nazione era dentro la famiglia di Guido Bertolaso, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla protezione civile. Lui finì nelle cronache giudiziarie con un avviso di garanzia per l’inchiesta sugli appalti del G8 a La Maddalena.

Sarebbe stato assolto otto anni più tardi, ma nel frattempo tutta l’Italia aveva conosciuto nome e curriculum del fratello di sua moglie, Francesco Piermarini, detto l’ingegnere, anche se qualcuno scrisse che poi ingegnere non era. Non importa. Il gip fece delle allusioni perché appariva in diversi affari accanto a Bertolaso, compresi i cantieri del G8, «perché è bravo - disse il sottosegretario - non l’ho chiamato io, mica deve andare a lavorare in Svizzera perché è mio cognato?».

In Svizzera sarebbe stato il primo. In effetti non succede mai. Un cognato, noi italiani, lo aiutiamo a casa sua. O almeno nei paraggi. Paolo Pillitteri, marito di Rosilde Craxi, sorella di cotanto Bettino, per diventare sindaco di Milano negli anni Ottanta ebbe il fastidio di doversi spostare solo di 60 chilometri, dalla sua Sesto Calende, dove non c’erano slogan, dove non c’era una Varese da bere. La sua parabola diventò un modello, quasi un prototipo, tanto che Francesco Scarinzi, cognato di De Mita, all’ennesima poltrona nel cda di un ente locale, venne detto dalla voce del popolo il Pillitteri di Nusco.

Cognati diversi

Per un cognato si fa questo e altro. Ci sono i cognati del nord e i cognati del sud. L’ex presidente della Provincia di Bari, Vincenzo Divella, all’inizio nominò portavoce il suo, Rocco Pignataro, pronto a battersi contro gli sprechi e i costi della politica, forse per questo accumulava incarichi nelle sue mani. Per risparmiare. Alla fine giunse in parlamento.

Quando arrivò il grande giorno, era così euforico che fu il primo a presentarsi alla Camera, si apriva la legislatura ma non era ancora aperto il portone. A un certo punto le cronache lo diedero in corsa per un seggio alle Europee, ma chissà che successe in famiglia, perché nel giro di un valzer lo trovammo solo candidato sindaco in provincia. Forse ce lo chiedeva Noicattaro.

Ci sono cognati a sinistra e ci sono cognati a destra. Gianfranco Fini ebbe lo slancio post fascista dalla Casa delle libertà, ma dalla casa del cognato a Montecarlo ricevette una grossa ferita, dice ancora adesso lui «una vicenda dolorosa, sono stato ingannato».

Quello di Formigoni, Giulio Boscagli, trovò ai bei tempi uno strapuntino da assessore regionale. Erano giorni disinvolti, diciamo la verità, nell’Italia sotto Berlusconi avere un cognato giusto, un cognato come si deve, era un asset, un benefit, un bancomat. In ogni caso c’era una t finale. Del resto ce l’aveva pure Murat, Gioacchino, chi più di lui, sposo di Carolina Bonaparte, fatto re di Napoli e maresciallo dell’impero dall’augusto cognato Napoleone.

Ognuno distribuisce le corone che ha. Cesare Previti poté dare al suo (Gianni Sammarco) il ruolo di commissario romano a Forza Italia, sempre meglio di niente, e quando ne uscì, furono cognati più di prima. Un cognato si infiltrò fin dentro il Milan, si chiamava Mustapha Madhoun, lavorava come magazziniere, fratello della moglie di Adriano Galliani. Era attaccato alla maglia, ne scoprirono a centinaia in casa sua. Lo arrestarono in flagranza di reato, perse il lavoro, ma era innocente, il tribunale lo ha assolto.

Il cognato a due teste

Il rischio della commedia dell’arte è sempre in agguato. Chi se lo ricorda Antonio Scannagatti, il cigno di Caianello con la faccia di Totò? Frega i soldi al cognato per andare a Milano e si trova inseguito da un parente con il coltello a scatto. Lo Zio Vanja di Cechov non provò forse a sparare un colpo di fucile a Serebrjakov? Giamburrasca, suo cognato, lo adorava. Ma lo portò all’esasperazione. Non è un vizio da Seconda Repubblica.

Finanche il rigoroso Vittorio Alfieri si fece raccomandare per entrare a corte. Per allontanare da sé un po’ di sospetti, quando esisteva ancora il partito liberale, il ministro Altissimo fu costretto a precisare che un operatore nel settore immobiliare a cui risultavano commissionate troppe perizie, era sì suo cognato, e però no, a guardar bene non lo era, si trattava solo dell’ex marito della sorella della sua ex moglie. Che fatica.

È dentro una casa di Ceppaloni, fatalmente, che bisogna spingersi per vedere incarnata la figura mitologica del cognato a due teste. Fu lì che un giorno avvertì la vocazione per la politica Pasquale Giuditta, tentato o blandito, chi lo sa, nonostante gli anticorpi di una laurea in filosofia. Era cognato della senatrice Sandra Lonardo per aver sposato la sorella di lei Antonietta, e allo stesso tempo cognato acquisito di Clemente Mastella.

Una doppia patente, una doppia responsabilità. Questo alla fine è il punto. Un credito te lo devi meritare, altrimenti finisci come Luigi Lo Cascio nel film Mio cognato, davanti a Sergio Rubini, finisce che un giorno si sente dire: «Ti devo imparare e ti devo perdere».

© Riproduzione riservata