Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha salvato il comparto del vino dall’applicazione di una regola dell’Unione europea che avrebbe causato la distruzione di molti milioni di etichette, come si è letto in questi giorni? Le cose stanno un po’ diversamente, e per spiegarlo occorre partire dalle norme.

La trasparenza

Il regolamento europeo sull’etichettatura degli alimenti (1169/2011), finalizzato a rendere omogenee alcune indicazioni sulle confezioni di molti prodotti negli stati membri dell’Ue, originariamente escludeva le bevande alcoliche. Per queste ultime non c’era l’obbligo di elencare gli ingredienti. Successivamente, la Commissione europea ha ritenuto che non ci fossero ragioni oggettive per giustificare tale esclusione.

E così è stato disposto che, a partire dall’8 dicembre 2023, sulle etichette dei vini - oltre a gradazione alcolica espressa in percentuale sul volume, lotto di produzione, allergeni e altro, com’è stato finora – vadano esposti anche valori nutrizionali e ingredienti, come prescritto da un regolamento europeo (2021/2117). Per risolvere il problema degli spazi limitati sulle bottiglie, il regolamento consente che tali indicazioni siano fornite in via elettronica, mediante un codice QR che permette di accedere a un’etichetta virtuale.

Il codice QR

La questione riguarda il segno che dovrebbe identificare i codici QR. Buona parte dell’industria del vino ha deciso di usare il simbolo indicato nella norma ISO 2760, vale a dire un circolo in bianco e nero con una lettera “i” all'interno, che indica “informazioni”.

Ma la Commissione europea, lo scorso 24 novembre, con una comunicazione di chiarimento sulle nuove disposizioni in materia di etichettatura dei vini – in pratica, delle linee guida - ha dato un’interpretazione diversa. Il codice QR va individuato non con il simbolo standard della “i” cerchiata, ma con il termine “ingredienti” scritto per esteso. A due settimane dall’8 dicembre, data di operatività della nuova normativa, le aziende avevano già provveduto a stampare le etichette. Pertanto, ci sono state lamentele di imprese e associazioni del settore per i danni causati dall’interpretazione della Commissione.

Il decreto

A fronte di questa situazione, il 7 dicembre scorso il ministro dell’Agricoltura ha annunciato di aver firmato un decreto che «deroga l'introduzione e l'applicazione della normativa europea sul cambio di etichettatura del vino, permettendo così l'utilizzo e l'esaurimento delle etichette già in magazzino».

Ma leggendo il decreto si nota che qualcosa non torna rispetto alle dichiarazioni del ministro. È vero che, fino all’8 marzo 2024, il decreto consente riportare sulle etichette il simbolo “i” accanto al QR code, ma ciò vale solo per i vini «circolanti sul territorio nazionale». In altre parole, le bottiglie destinate all’esportazione sono escluse dalla deroga. E si tratta di una parte di produzione rilevante: nel 2022 il valore delle esportazioni italiane di vino ha raggiunto quasi gli 8 miliardi di euro.

Inoltre, la deroga del ministro per i vini nazionali solleva dubbi giuridici. Nella comunicazione dell’Ue si dice che pure tali vini «devono, in linea di principio, soddisfare i nuovi requisiti in materia di etichettatura». Si dubita che la comunicazione interpretativa di un regolamento europeo possa essere superata da un decreto ministeriale. Ciò anche perché la normativa Ue sull’etichettatura è finalizzata a tutelare i consumatori in tutti gli stati membri: derogarvi in un mercato nazionale significherebbe anche rinunciare alla relativa tutela per i consumatori di tale stato, e ciò non sarebbe ammesso.

Posto tutto questo, va detto che a “salvare” le etichette dei vini ci aveva già pensato l’Ue, e prima del decreto del ministro.

Le precisazioni dell’Ue

Ai punti 3 e 5 della comunicazione dell’Ue si dice che tutti i vini “prodotti” – cioè quelli per cui prima dell’8 dicembre siano state concluse una serie di fasi di produzione (regolamento Ue 1308/2013) - possono «continuare a essere immessi sul mercato in base ai requisiti di etichettatura applicabili prima di tale data fino ad esaurimento delle scorte».

Ciò significa che – come ha fatto sapere la Commissione - «per la maggior parte dei vini le nuove disposizioni dovrebbero essere attuate solo a partire dalla vendemmia 2024», termine ben più esteso di quello fissato da Lollobrigida. Dunque, chi ha rappresentato il ministro come una sorta di salvatore del comparto vinicolo nazionale ne è proprio così certo?

© Riproduzione riservata