Tutti e tutte in silenzio nella grande sala dei Corazzieri, quando l’attivista iraniana Pegah Tashakkori parla delle atrocità del regime degli ayatollah; e quando Frozan Nawabi, avvocata afghana, racconta di essere stata a Cutro a «raccogliere le storie dei miei connazionali» superstiti del naufragio della notte del 26 febbraio – una strage «che interroga le nostre coscienze», dirà subito dopo la ministra Maria Elisabetta Casellati – e trattiene la commozione, lei come i presenti, mentre rivolge una preghiera ai rappresentanti istituzionali: «non dimenticate l’Afghanistan».

Il tema scelto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per celebrare la Giornata internazionale della donna è «donne e libertà». Citazione non casuale dello slogan della rivoluzione delle iraniane, «Donna, vita e libertà».

Cerimonia sobria, nello stile del Quirinale di Mattarella, ma intensissima; condotta da Elena Radonicich, parlano la giornalista Maria Latella, la ministra per le Riforme istituzionali Casellati, brividi a cura della cantautrice Eleonora Bordonaro. A essere maliziosi si potrebbe pensare che anche stavolta, come altre, il presidente della Repubblica arriva dove il governo non arriva, o arriva male, come a Cutro: in questo caso a lanciare parole inequivocabili su quei due regimi, quei massacri in atto nel sostanziale disimpegno della comunità internazionale.

Mattarella parla anche dell’Italia e dei suoi progressi: «Abbiamo in carica la prima donna alla guida del governo, nuovamente una donna alla presidenza della Corte costituzionale, per la prima volta una donna al vertice della magistratura. Ma certe mentalità, e soprattutto certe consuetudini grottesche e gravemente dannose, sono ancora presenti».

Grottesche dice, parola scelta con cura, e contro queste consuetudini «occorre un impegno ulteriore», di istituzioni, comunità civile ma anche «delle donne e degli uomini insieme per rimuovere ostacoli, confutare pregiudizi, con azioni concrete, contrastando con forza le inaccettabili violenze e i femminicidi».

Selfie per Meloni

Ma non si può dire che nel palazzo sia un 8 marzo come gli altri. Una presidente della Consulta, una presidente della Cassazione, anche se ci sono voluti settant’anni di Repubblica e quanto a Palazzo Chigi, 64 governi retti da uomini.

In prima fila davanti al capo dello Stato ci sono le ministre e le sottosegretarie (un governo con una buona presenza femminile, sono 22 le donne), la presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra, il presidente della camera Lorenzo Fontana.

Ma tutte le telecamere sono per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha già spiegato che il successo delle donne dipende soprattutto dal «credere di più nelle loro capacità», solo dall’arditismo delle donne insomma. Meloni a fine cerimonia si concede con entusiasmo ai selfie. La scorta del presidente del senato Ignazio La Russa viene scalzata, solo il cerimoniale di palazzo potrà con ferma cortesia agevolarle l’uscita dalla sala.

A rompere la retorica del “femminile” del governo della destra, due deputate M5s in quei minuti denunciano che «giusto ieri la maggioranza in commissione giustizia alla Camera ha bocciato un emendamento che proponeva il fermo di indiziato dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori. I pubblici ministeri potrebbero utilizzarlo, anche al di fuori dei casi di flagranza».

I dati dei femminicidi sono il controcanto delle mimose all’entrata del Quirinale e vengono da Viminale: secondo il report donne vittime di violenza, i numeri registrano «un trend di crescita per le violenze sessuali» e solo in parte può dipendere dall’«affioramento di un sommerso», cioè l’aumento delle denunce, perché «dal 2020, anno nel quale si è registrato il dato minore (4.497), l’incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991 eventi».

Schlein fuori dal palazzo

È anche l’anno della prima donna alla guida del Pd. Per celebrare l’8 marzo Elly Schlein sceglie di stare fuori dal palazzo. Un po’ perché non è ancora ufficialmente segretaria, lo sarà dopo l’investitura dell’assemblea nazionale del 12 marzo. Un po’ perché vuole dare un messaggio su che tipo di femminista sarà.

Ha chiesto al suo ex sfidante, Stefano Bonaccini, di farle da vice, la stessa offerta che lui aveva fatto a lei prima del voto dei gazebo. Molti riformisti sconsigliano, per ragioni politiche, e cioè tenersi le mani libere sulla linea “radicale” del nuovo Pd. Ma se Bonaccini accettasse sarebbe un altro gesto simbolico per il partito.

Schlein in mattinata va in un centro commerciale romano e incontra lavoratrici e delegate sindacali della grande distribuzione e del commercio, «settori ad alta percentuale di occupazione femminile», scrive su Instagram, «ma ad alto tasso di precarietà». Promette una battaglia su una legge sulla rappresentanza contro i contratti pirata, sul salario minimo, contro il part time involontario.

Saluta con un concetto che è Virginia Woolf in purezza: «L’emancipazione economica delle donne, fondamentale anche nel contrasto alla violenza strutturale di genere, non può che passare anche dalla dignità e qualità del lavoro e del salario».

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