Il primo ad attaccare Enrico Letta è Matteo Salvini, che non digerisce l’idea di ricominciare a parlare di ius soli. «Parte male», dice il leghista, «è una cavolata»; forse anche irritato per quell’insistere del nuovo leader dem sulla formula «la destra di Meloni e Salvini», e non viceversa. Buon segno, per un segretario Pd – eletto ieri dall’Assemblea nazionale da remoto con una valanga di voti, 860 su poco più di mille, due contrari e quattro astenuti, un imbarazzante 99,3 per cento – che insiste su un partito «alternativo» alle destre e pensa da subito al dopo Draghi disegnando una larga alleanza post-ulivista che manda di traverso il pranzo della domenica ad alcuni suoi grandi elettori, quelli della «vocazione maggioritaria».

Letta incontrerà «Speranza, Bonino, Calenda, Matteo Renzi, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni». Poi andrà «all’incontro con i Cinque stelle guidati da Giuseppe Conte, al quale va il mio saluto affettuoso». Rinfrescata di memoria per tutti: «Abbiamo vinto quando abbiamo fatto coalizioni, quando siamo andati per conto nostro abbiamo perso». Conte cinguetta di un «comune impegno» «assolutamente necessario». Su questo non cambia dunque la linea Pd da quella dell’uscente Nicola Zingaretti. Omaggiato oltre le parole di rito. Letta parla della loro «lunga amicizia», «sintonia», e rivela un dettaglio: «Ti ringrazio di avermi cercato».

Nel dopo Draghi ci sono le alleanze, per ora basta con il partito del governo in quanto tale, «non siamo la Protezione civile della politica, se diventiamo il partito del potere moriamo». Ma adesso c’è Draghi e il Pd resta dove sta: «Questo è il nostro governo, è la Lega che deve spiegare perché lo vota». Qui le minoranze credono di vedere una svolta. Letta enuncia per titoli un programma solidale, inclusivo, attento alle disuguaglianze acuite dalla pandemia. Rilancia anche la compartecipazione dei lavoratori ai «proventi delle imprese». Il segretario Cgil Maurizio Landini si dichiara «interessato al confronto». Non è un aspetto fra gli altri, il confronto con i sindacati. È un «big» del Pd, Andrea Orlando, a ricoprire la carica di ministro del Lavoro.

Un altro partito

Ma le «regole d’ingaggio», le condizioni che Letta ha messo per lasciare la sua vita da direttore di un’università prestigiosa e assumersi la responsabilità di un partito sull’orlo della liquidazione, è il cambio di passo interno. «Non vi serve un nuovo segretario, l’ennesimo, vi serve un nuovo Pd», dice. Cita Pirandello e chiede «volti e non maschere»; è severo con i conflitti interni, il Pd è stato «una Torre di Babele»; ai dirigenti chiede il recupero del principio di realtà: «Nemmeno io ho capito la geografia interna delle nostre correnti. E se non l’ho capita io è un problema». Parla chiaro sul congresso anticipato: «Dietro a questo dibattito, vedo un non detto: “Teniamo in vita il più a lungo possibile il governo Draghi, perché è scritto che al prossimo giro il Pd perde”. Non ho lasciato la mia vita precedente per guidarvi a una sconfitta». Ma c’è da cambiare: «Progressisti nei valori, riformisti nel metodo e radicali nei comportamenti individuali».

Letta cita Jacques Delors e Romano Prodi, a Parigi ha studiato a fondo i padri dei partiti popolari e socialisti europei, ma anche le innovazioni che possono resuscitare il suo: nelle prossime due settimane i circoli discuteranno la relazione del segretario. Poi «appena le condizioni sanitarie lo permetteranno» saranno lanciate «le agorà democratiche, composte da interni ed esterni al partito». Goffredo Bettini ringrazia, le «agorà» sono la sua proposta di una vita: «Bene Enrico Letta. Niente retorica, ma ragionamenti concreti e comprensibili. Un’idea di riformismo che cambia le cose». Letta punta su un Pd «aperto» e sui giovani. Non è il primo. Ma rispetto al giovanilismo di Matteo Renzi - che resta muto per tutto il giorno, neanche gli auguri riesce a fare al premier che defenestrò senza cortesie nel 2014 - almeno in questi primi annunci c’è un abisso di stile. E di contenuti. Anni di lavoro con gli studenti gli hanno chiarito che c’è bisogno di formazione: propone «una università democratica». Del resto la sua Scuola di Politiche lo è già, in qualche misura. Quella che pensa per il suo partito però non è solo per giovani. 

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