Il Pd nazionale sconfessa la portavoce delle donne democratiche di Rimini, che è contestata anche dalle compagne. E in tarda serata arrivano le sue dimissioni: «Mi scuso se con le mie parole ho offeso la sensibilità di coloro che si sono sentite molestate e aggredite. Ho sempre lavorato per difenderle e continuerò a farlo con tutto il mio cuore». Sonia Alvisi, è il nome della dirigente dem, martedì aveva dichiarato il suo scetticismo sulle denunce fatte tramite social di molestie e aggressioni ricevute da tante donne e ragazze nel corso della 93esima adunata degli Alpini che si è chiusa l’8 maggio a Rimini. Un comunicato, confidano alcune democratiche, «fatto senza confrontarsi con nessuna di noi». Le testimonianze raccolte dalle associazioni femministe locali sono una valanga. Per di più già il giorno dopo era arrivata la prima denuncia ai carabinieri. 

Al Nazareno le parole di Alvisi hanno suscitato rabbia. Anche perché in questi mesi il lavoro fatto su questi temi va in direzione opposta: all’entrata della sede nazionale c’è il cartello del «1522», il numero antiviolenza rivolto appunto alle donne che non riescono – o non possono – denunciare. In più da mesi è in corso un ciclo di Agorà che si intitola «Ogni giorno è 25 Novembre», con riferimento alla data della giornata contro le violenze degli uomini sulle donne.

E così ieri Cecilia D’Elia, responsabile parità del Pd e portavoce della Conferenza delle donne, ha messo nero su bianco una durissima scomunica delle parole di Alvisi: «La sua presa di posizione come portavoce delle donne democratiche di Rimini non rispecchia in alcun modo gli orientamenti e le battaglie delle donne democratiche e del Pd». Il punto particolarmente molesto è quello delle mancate denunce: «Purtroppo la violenza – per molte ragioni – non viene spesso denunciata, ma rimane vera e non deve essere sminuita», scrive D’Elia, «le parole delle donne vanno prese sul serio: quello che è successo a Rimini è grave e, come ha detto anche il ministro Guerini, va fatta chiarezza».

Minimizzare le molestie

Alvisi, per giustificarsi, aveva promesso di “spiegarsi meglio”. E invece sulla Stampa di ieri ha insistito: «Non dico che non credo a queste ragazze, ma se subisco una molestia devo immediatamente andare a denunciare alle autorità. Perché se poi dico un qualcosa senza denunciare divento meno credibile». È il punto delicato che proprio non mette a fuoco: la mancata denuncia non rende necessariamente «meno credibili» le testimonianze, non nel caso di molestie o violenze contro una donna.

Di tutt’altro tono invece erano state le parole del ministro della Difesa Lorenzo Guerini: «I comportamenti raccontati da alcune donne sono gravissimi. Episodi che certamente andranno accertati dagli organi competenti».

Alvisi viene smentita anche dal coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, che ha raccolto 150 notizie di molestie e violenze in un fine settimana: «Una cifra enorme, se si pensa a quante non hanno segnalato» anche «perché, come capita spesso in questi casi, provano vergogna come se fosse colpa loro». L’associazione Non una di meno però parla di 500 testimonianze. 

Poi c’è la questione della prevedibilità della situazione. Non è certo la prima volta che le adunate degli alpini si portano appresso anche questa vergognosa tradizione. «In occasione dell’adunata del 2018, a Trento, era accaduto più o meno lo stesso», dicono i centri antiviolenza. Dopo le polemiche, e dopo il malcelato tentativo di minimizzare, al Corriere della Sera il presidente dell’Associazione alpini, Sebastiano Favero, si è “scusato” promettendo di collaborare con le forze dell’ordine per individuare i responsabili, promettendo «provvedimenti molto forti». Ora balla l’adunata del prossimo anno ad Udine. Una petizione in rete per sospendere la manifestazione per due anni in poche ore ha raggiunto le 13mila firme. Contraria allo stop l’ex presidente del Friuli Debora Serracchiani, a capo dei deputati Pd: «Sarebbe una resa a un pugno di violenti».

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