Nel programma elettorale di Fratelli d’Italia, al quale molto spesso la presidente del Consiglio si richiama, sta chiaramente scritto: presidenzialismo, stabilità di governo, stato efficiente. La bozza di riforma costituzionale in circolazione, che verrà presentata venerdì al Consiglio dei ministri, fin dal titolo parla, invece, di qualcosa di diverso e inusitato, cioè, di premierato: «Elezione popolare diretta del presidente del Consiglio dei ministri».

Le differenze istituzionali sono enormi. Attualmente, in nessun sistema politico il capo di governo è eletto direttamente dai cittadini. Per tre volte, 1996, 1999, 2001, il premier israeliano è stato eletto da maggioranze assolute, lo sottolineo, di votanti, ma quella elezione non ha prodotto né stabilità né efficienza ed è stata abbandonata.

Il disegno di legge del governo italiano non specifica quale maggioranza sia necessaria per l’elezione rendendo lecito e inevitabile pensare che potrà anche essere una maggioranza relativa. Dopodiché, a quel presidente del Consiglio verrà consegnata una maggioranza parlamentare del 55 per cento dei seggi. Dovrà avere la fiducia espressa delle due camere, ma non è specificato con quale sistema viene eletto il parlamento. Qualora non ottenesse la fiducia, il presidente della Repubblica potrebbe rinnovargli l’incarico. Una seconda bocciatura consentirebbe al presidente di sciogliere il parlamento. Il primo ministro cessato dalla carica, non viene specificato come e perché, può essere sostituito dal presidente della Repubblica con un parlamentare (dunque, nessuna possibilità di governi guidati da un non politico, un tecnico) appartenente alla stessa maggioranza.

Il governo avrebbe stabilità, ma il capo del governo eletto dai cittadini potrebbe, contraddittoriamente con l’obiettivo preminente della sua stabilità in carica, essere sostituito attraverso accordi fra i partiti.

La macchinosità di queste procedure sembra essere dovuta essenzialmente al tentativo di salvaguardare i due poteri politico-istituzionali che caratterizzano la figura del presidente della Repubblica nella Costituzione vigente: nomina del presidente del Consiglio e scioglimento del parlamento. Nella realtà, però, quei poteri risulteranno solo formali e il presidente perderà qualsiasi discrezionalità nel suo esercizio.

Due obiezioni

Ferma restando la sottolineatura che uno di punti di forza delle forme parlamentari di governo è la loro flessibilità/adattabilità in particolare di fronte alla rigidità introdotta da questo tipo di premierato, il disegno di legge di riforma costituzionale è esposto a due obiezioni.

La prima attiene alla maggioranza non assoluta che può eleggere il primo ministro, dunque, inevitabilmente, alla imperfetta legittimazione politica che ne deriva. La seconda obiezione riguarda le non specificate modalità con le quali la non-maggioranza che lo ha eletto in parlamento godrà del 55 per cento dei seggi.

Aggiungo che non c’è nessuna garanzia che la stabilità del primo ministro non diventi paralisi politica e immobilismo legislativo che la sua maggioranza accetterebbe pur di non tornare alle urne obbligata ad accettare la responsabilità di quel che non è riuscita a fare e che il presidente della Repubblica non potrebbe sbrogliare con lo scioglimento del parlamento.

Lasciare il terreno conosciuto delle forme di governo presidenziale, parlamentare, semipresidenziale richiede molto di più e molto meglio dell’elezione popolare diretta del primo ministro. Esagerato è sostenere che è in gioco la democrazia in quanto tale, ma certamente lo è come migliorare il suo funzionamento senza aprire spazi a un populismo vittimista. Quello che quasi sicuramente consegue da una brutta riforma è delusione e scontento, confusione e conflitti.

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