Prossima udienza il 30 novembre. In un’aula del Tribunale di Locri la Legge continuerà a chiedersi se a Riace la solidarietà venne uccisa dall’imbroglio e dalla voracità degli uomini. E la Giustizia ad arrovellarsi sul dilemma se la montagna di accuse contro l’uomo che è il simbolo di quel sogno, non sia il frutto avvelenato di una malapianta che si chiama politica. Quella dei porti chiusi e dei confini sbarrati.

Il processo a Domenico Lucano, è tutto dentro questo dilemma. E ci  parla dell’Italia, di uno scontro politico feroce tra solidarietà ed egoismo, tra l’umanità e una disumanità che alligna dentro norme confuse.

Protagonista è l’ex sindaco di Riace, il sognatore dell’utopia della normalità. L’uomo che ha costruito un “modello” di integrazione studiato in tutto il mondo, e che una inchiesta giudiziaria ha precipitato nel dramma degli arresti e dell’esilio. Il processo è iniziato più di un anno fa. Giornali e tv nazionali hanno scelto di non raccontarlo.

Solo pochi volontari lo hanno fatto. Giovanna Procacci, sociologa e docente universitaria milanese, a spese sue ha attraversato l’Italia per seguire le udienze e scriverne sui social e sul sito del “Comitato 11 giugno”. “Ho netta l’impressione – ci dice – che al centro di questo processo non ci sono i fatti, ma le idee”. Ecco perché è utile riflettere su quello che è accaduto. Analizzare l’inchiesta, osservarne il carattere sempre più “politico”. Seguire il processo. Un anno intero di udienze, tutte dedicate alle tesi dell’accusa.

Siamo lontani dalla conclusione, ma un dato appare già chiaro: fino a questo momento non c’è una sola prova che dimostri ruberie o interessi privati di Mimmo Lucano e dei suoi 29 coimputati. E’ tutto un balbettare, un arrampicarsi sugli specchi. Un tourbillon interpretativo di leggi e disposizioni in materia di sistemi di accoglienza, di violazioni meramente amministrative automaticamente trasformate in reati.

L’arresto e le accuse

Mimmo Lucano viene arrestato (ai domiciliari) il 2 ottobre 2018. Gli piovono addosso accuse terribili, quindici capi di imputazione, che vanno dalla truffa agli abusi d’ufficio, all’associazione per delinquere, fino al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’opinione pubblica che aveva sostenuto quella utopia è sconvolta. Lucano distrutto.

Le carte dell’inchiesta circolano da poche ore, quando il capo della Procura di Locri, Luigi D’Alessio, rilascia una intervista al quotidiano La Repubblica. Il suo giudizio su Lucano è perentorio. Da condanna annunciata. Su Riace si è speculato, sono spariti «almeno 2 milioni di euro. Riteniamo che Lucano li abbia usati per fini personali. Ma a volte il tornaconto può essere anche politico, d’immagine».

Da quella  intervista sono passati due anni e dei due milioni “spariti” e trafugati da Lucano non vi è traccia. Ore di intercettazioni, conti correnti dell’ex sindaco e dei suoi familiari passati al setaccio. Nulla. Zero.

Sull’interesse elettorale  parlano i fatti. Dal 2017 ci sono state elezioni politiche, europee, regionali, Lucano ha ricevuto tante offerte di candidature. Ha sempre rifiutato. Si è candidato come consigliere comunale al suo paese, ma è stato sconfitto da un sindaco della Lega che ora la legge ritiene ineleggibile.

Spostare in avanti la lancetta dei sospetti. E’ lo stesso metodo usato con lo “scandalo Ong”. C’è un magistrato, Carmelo Zuccaro, che a Catania indaga sul ruolo delle navi del volontariato nel Mediterraneo. Viene sentito dal Comitato parlamentare Schengen” e avanza una domanda inquietante: “Chi finanzia le navi Ong?”.

Con giornali e tv, alza sempre più l’asticella parlando di “contatti” con i trafficanti libici e di “finanziamenti”. L’obiettivo è «destabilizzare l’Italia». Matteo Salvini e Luigi Di Maio si appropriano dell’espressione “taxi del mare”. Dopo due anni tutte le inchieste del dottor Zuccaro finiscono con archiviazioni da lui stesso richieste. Ma come si vede, il metodo ha fatto scuola, ed è arrivato sulle sponde calabre.

Il supertestimone poco super

 L’11 giugno del 2019 il processo ha inizio. A sua disposizione la Procura ha un supertestimone. Un uomo che afferma di aver avuto forti pressioni da Lucano per emettere una serie di fatture false. Francesco Ruga è un  piccolo commerciante di Riace.

Anche lui vive dentro il “modello” costruito da Lucano. Vende merce di prima necessità ai profughi. La presenza di centinaia di immigrati con le loro famiglie, fa respirare la sua e le piccole attività del borgo. E’ un ammiratore del sindaco Lucano. Gli scrive, fa post sui social. «Eri il mio idolo. Nel 2008 mi volevano rinchiudere e tu non hai firmato».

Dall’ammirazione fanatica  passa all’odio. Decine di messaggi, minacce. «Mi autodenuncio, dico tutto, sta pappania è finita». Lucano è costretto a rivolgersi ai carabinieri. «Le sue espressioni – scrive – hanno contenuto molesto, minaccioso, ricattatorio». Ruga, a sua volta, presenta una denuncia alla Guardia di Finanza. In sintesi: il sindaco, insieme ai suoi collaboratori, mi ha indotto a firmare fatture false. La procura lo interroga, mette a verbale le sue accuse. Come testimone, mai come imputato di un reato. Ma non è l’unica stranezza di questa storia.

La procura porta in tribunale le ispezioni fatte da un funzionario di prefettura, il dottor Salvatore del Giglio. Nel luglio 2016 ispeziona il modello Riace, ne evidenzia gli aspetti positivi, ma poi rileva che la convenzione con gli enti gestori, le cooperative, è avvenuta in «mancanza di evidenza pubblica». Non si sono fatte gare. In una udienza del processo gli viene chiesto se esisteva una norma di legge. La sua risposta è «no, ma il Comune avrebbe dovuto farlo perché si tratta di soldi pubblici».

Com’è che in tre anni non vi siete accorti di nulla e solo nel 2017avete scoperto che mancavano le gare, chiede il Giudice Fulvio Accurso che presiede il dibattimento? La risposta del prefetto è imbarazzata: «Una certa tolleranza è derivata anche da ragioni emergenziali». L’emergenza sbarchi, le continue richieste della prefettura di Reggio Calabria e del Viminale, denunciate da Lucano. «Mi mandavano profughi in continuazione e io li accoglievo. Mi chiamavano San Lucano, poi lo Stato mi ha processato».

L’ispettore accusato

Qualche mese dopo la sua deposizione, il dottor del Giglio viene inquisito dalla procura di Palmi per lo scandalo del centro di accoglienza Villa Cristina, nel comune di Varapodio. Qui accadeva di tutto, anche che il sindaco di Fratelli d’Italia, imponesse ad alcuni fornitori di regalargli scarpe e vestiti destinati ai profughi per darle ai figli. Anche a Varapodio arrivarono gli ispettori per verificare il “corretto impiego dei fondi stanziati” , ma, secondo i pm dell’inchiesta, il dottor del Giglio e il suo collega avrebbero «redatto falsamente” il verbale di una ispezione. Il falso e l’omissione contestati sono gravi e riguardano la mancanza di indicazione “da parte del Comune, di altre cooperative oltre quella affidataria».

Due pesi e due misure che ingrassano il sospetto che su Riace lo Stato abbia avuto un occhio di riguardo, perché la politica allora vincente esigeva l’abbattimento di quel modello. Al Viminale c’era Salvini che considera Lucano «uno zero», al governo Di Maio, «certi modelli poi finiscono arrestati».  Bisognava puntare al bersaglio grosso. Quindi si muovono gli ispettori, a frotte, per una decina di ispezioni che diventano uno dei pilastri dell’inchiesta.

Lo schema è uguale e ripetitivo: a Riace va bene, il modello funziona, “tuttavia” ci sono una serie di norme e regolamenti violati o non rispettati. Naturalmente i verbali delle ispezioni vengono pubblicati dai giornali della destra.

Solo una relazione non viene resa pubblica e scompare nei cassetti della Prefettura di Reggio, quella firmata dal viceprefetto Francesco Campolo. La descrizione che il funzionario fa di Riace è entusiastica, il linguaggio poco burocratico, netto il giudizio su Lucano, «un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita», clamorosa la denuncia sul blocco dei finanziamenti operato in quei mesi dal Viminale e voluto  da Salvini. Quella pagine, che in prefettura giudicano «una favoletta», spariranno per mesi. Per averne copia gli avvocati difensori di Lucano, Antonio Mazzone e Andrea Daqua impiegheranno un anno, ma solo dopo aver scritto un esposto alla Procura di Reggio Calabria.

Gli avvocati volontari

Sono andate così le cose nell’inchiesta di Locri, dove Lucano è accusato finanche di aver dato gratis le carte di identità ai profughi. Gli imputano un danno erariale di 11mila euro, anche se spesso quei documenti li pagava lui, con la sua misera indennità di sindaco. Il Comune non era in dissesto finanziario e poteva farlo, ma di questo l’accusa non si accorge. Anche la costruzione del frantoio sociale (forse l’opera più importante fatta a Riace), che offre lavoro a quindici persone, tra profughi e riacesi, è giudicato il frutto di un imbroglio. E’ finanziato con “ingenti fondi privati” e con una parte di fondi pubblici per i quali non c’era obbligo di rendicontazione, ed è una opera a disposizione dell’intera comunità. Ma neppure questo basta.

Per dimostrare che non si è rubato, che Lucano non ha tratto alcun vantaggio economico dai laboratori, dalle borse lavoro, dalla costruzione del frantoio, dai risparmi fatti con un uso non speculativo dei 35 euro a migrante, non basta la buona volontà. Servono perizie, esperti. Lucano, come è noto ai più, non ha patrimoni da mettere in campo e i processi costano. I suoi avvocati lo difendono gratis, come fanno gli avvocati di altri imputati. Il loro è puro volontariato civile. Ed è questa, forse, la parte meno amara di questo processo, dove in ballo c’è molto di più dell’innocenza di una persona.    

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