Il risultato del voto referendario sembra senza chiaroscuri. Uno dei quesiti della vigilia riguardava il tasso di partecipazione. Per due ragioni. Se basso, avrebbe avvantaggiato la parte apparentemente più mobilitata. Quella dei promotori del referendum orientati a bocciare la riforma approvata quasi all’unanimità dai partiti in parlamento. Di conseguenza, e in secondo luogo, i sostenitori del No hanno criticato l’election day temendo che le regionali avrebbero potuto inquinare l’esito aumentando “artificialmente” l’affluenza.

L’effetto regionali

Questo si è in effetti verificato perché, come ci si aspettava, le regionali hanno portato al voto, alla fine, tra il 10 e il 15 per cento degli elettori in più rispetto alle altre regioni limitrofe. L’effetto è stato più forte al Sud, dove il tasso di partecipazione ai referendum è storicamente più basso. Ma è stato comunque molto più contenuto sul tasso di partecipazione complessivo al livello nazionale. In pratica, se non ci fossero state le regionali, la partecipazione si sarebbe fermata intorno al 48 per cento, invece di arrivare al 53. In ogni caso, non ha avuto un impatto apprezzabile sull’equilibrio tra Sì e No.

I voti tornano

Una nota di colore. Solo per una ragione tecnica, il ministero dell’Interno ha certificato tassi di partecipazione più bassi alle regionali che al referendum, nelle regioni in cui si votava anche per i presidenti. Singolare che molti opinionisti si siano affannati a discuterne. Questo dipende infatti solo dalla circostanza (strana a sua volta) che gli italiani residenti all’estero possono votare per posta in occasione di elezioni parlamentari e referendum, ma devono andare ai seggi nel comune italiano in cui sono iscritti in occasione di elezioni locali. Quindi vengono contati come “elettori della regione” per le regionali, mentre per il referendum rientrano in una delle circoscrizioni estere. In realtà, il tasso di partecipazione è stato pressoché identico, salvo casi rarissimi nessuno ha rifiutato di prendere una delle due schede.

Il No ha fatto breccia nell'elettorato Pd

A breve potremo sapere di più circa la caratterizzazione territoriale del No e circa il comportamento degli elettorati dei vari partiti. Sulla base di primi indizi, tutti da verificare, appare più forte al Sud e nelle grandi città. Sembra che abbia fatto breccia tra gli elettori Pd (vedremo in che misura) ma sia rimasto largamente minoritario tra gli elettorati di tutti gli altri partiti. Insomma, per dirla con una semplificazione, potrebbe avere coinvolto soprattutto i classici “ceti riflessivi” e la cosiddetta sinistra della Ztl, ma non ha sfondato in una opinione più larga.
 

Gli effetti politici sono abbastanza chiari. Su questo piano, se i principali rumors della vigilia avevano fondamento, vengono smentiti. Si pensava ad uno Zingaretti potenzialmente messo in discussione e a un Conte in difficoltà. Dire che né escano rafforzati sarebbe una esagerazione. Stabilizzati si, tanto più se le tendenze che si intravedono sul voto in Puglia e Toscana dovessero essere confermate.

Nonostante il lungo tentennamento, Zingaretti non ha ceduto alla fine alle sirene di compenti interne ed esterne che l’avrebbero voluto schierato sulla posizione opposta a quella tenuta del suo partito in parlamento nel voto finale alla Camera. Viene invece confermata la sua linea orientata non solo ad un appeasement ma di fatto ad un accordo strategico con i Cinque Stelle (o quello che rimarrà di loro nei prossimi anni). Di conseguenza, Conte può rimanere per ora serenamente a Palazzo Chigi.

L’ultimo hurrà del Movimento cinque stelle

La vittoria schiacciante del Si regala certamente un “hurrà” a Luigi Di Maio, anche grazie a quanti lo hanno lasciato solo nel rivendicare la bontà di una scelta auspicata da anni e realizzata solo grazie al voto parlamentare di tutti i partiti. La timidezza degli altri leader e l’opposizione dei promotori del referendum gli ha regalato il ruolo di attore principale su una riforma che ha ben altri padri e che ha incontrato lo stato d’animo della società italiana in questo momento. Un hurrà che potrebbe però esse l’ultimo, o quasi. Dato che con questa riforma sostanzialmente si chiude il ciclo dell’antipolitica. E da domani, i 5 stelle saranno costretti a diventare finalmente un partito “del sistema” a tutti gli effetti o a deperire.

© Riproduzione riservata