Elly Schlein ha un problema: cosa fare del partito che ha conquistato. La neo-segretaria non ha confidenza con questo strumento. Ha fatto politica aderendo a una piccola quanto dinamica componente, quella animata da Pippo Civati, che però si è malauguratamente sciolta nei primi tempi del renzismo.

Poi, dopo l’esperienza al parlamento europeo, nel 2020 si è candidata per le regionali in Emilia-Romagna a sostegno di Stefano Bonaccini con una sua formazione, Coraggiosa, ottenendo tra l’altro un grande successo personale in termini di preferenze. Negli ultimi anni si è collocata a fianco del Pd, non dentro. Anche per questo, forse, è stata premiata alle primarie. Ora è alla testa del partito, e lo deve guidare. Ha di fronte a sé due rischi. 

Il primo. Non entrare dentro, fino in fondo, al partito, e non acquisirne le logiche interne, ivi compresi i problemi derivanti dalle incrostazioni di sospetti e rancori e dalla resistenza delle filiere interne, di cui le correnti sono un epifenomeno. Con la conseguenza di non incidere sulla struttura lasciandola navigare senza una rotta e una guida decise, come in questi anni.  

Il secondo. Fidarsi del miraggio movimentista e continuare a far politica con un piede dentro e uno fuori dal partito. Ovviamente, non si tratta di rinchiudersi in un fortino e sollevare i ponti levatoi. Tutt’altro. Un partito è vivo e vitale quando è in connessione con la società, con ciò che si muove, anche sottotraccia. Tale compito, però, spetta proprio alla struttura partitica, e in primis agli iscritti, ai quali vanno forniti incentivi per mobilitarsi, così come ai simpatizzanti per iscriversi.

Gli iscritti sono «gli ambasciatori della società» seconda la fortunata formula di uno studioso britannico. Il loro numero è sempre considerato un indicatore dello stato di salute di una formazione politica, della sua presa nella società. Quindi, bene ha fatto Schlein a sollecitare subito l’afflusso di nuovi membri. Ma va dato loro uno scopo, un ruolo ben più incisivo rispetto a quello che hanno avuto in passato. Soprattutto vanno coinvolti nelle scelte politiche, non con referendum via web, bensì riattivando gli incontri dove si discute in persona, faccia a faccia, e le cui discussioni trovano una eco nelle strutture centrali, non rimangono senza riscontri.

La rivitalizzazione dello strumento partito serve anche a contrastare il sentimento antipolitico che oggi scorre così impetuosamente: dimostra che ci sono luoghi (magari ideali) in cui fare politica ha senso. È per questo che sono importanti e da valorizzare quelle figure che hanno avuto lunga esperienza nella vita di partito, senza aver brigato per posizioni di potere, piccolo e grande che fosse. Rinnovamento non fa rima con rottamazione. 

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