Il secondo governo Conte è finito, ma per Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, non è cambiato molto. La missione di salvare la “roba”, obiettivo primario fin dalla sua discesa in campo, oltre due decenni fa, è stato raggiunto nuovamente. Neanche il governo uscente ha smosso nulla nei settori delle telecomunicazioni e dell’informazione, mantenendo un rapporto di rispetto reciproco con il mondo berlusconiano.

In realtà, quando ha potuto il governo ha anche aiutato Mediaset raggiungendo, dopo le iniziali posizioni che sembravano di rottura totale, un punto di equilibrio che ha generato due effetti. Il primo è parlamentare, con l’opposizione berlusconiana sempre responsabile, mai aggressiva e ostile, un approccio che ha marcato una differenza sostanziale con gli alleati, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che oggi lo candidano al quirinale per dissuaderlo da un eventuale appoggio al terzo governo Conte. Il secondo effetto è che il lavoro diplomatico, portato avanti soprattutto da Gianni Letta ha lentamente esaurito il ruolo di anello di congiunzione che Renzi voleva assumere.

Il senatore semplice di Scandicci ambiva a diventare leader di un partito in grado di raccogliere i delusi del berlusconismo e quelli in fuga per il lento sgretolamento di Forza Italia. L’idea di annessione di Italia viva è fallita prima alle urne e poi con i rifiuti, in sequenza, di Mara Carfagna, Renata Polverini e di altri big del partito (Paolo Romani è andato via da Forza Italia formando un gruppo autonomo). Renzi è riuscito a dare il benvenuto nel partito solo a parlamentari azzurri di secondo profilo. Un progetto fallito anche perché gli intransigenti grillini hanno cominciato un percorso di avvicinamento con quel mondo attraverso contatti e incontri personali, ma anche provvedimenti graditi alle aziende berlusconiane.

Le riforme mancate

Prima di passare in rassegna le leggi annunciate e mai approvate, bisogna ricordare che il consenso costruito dal M5s, negli anni, nasce anche da una profonda e radicale critica all’atteggiamento prudenziale che i governi di centrosinistra hanno avuto nei confronti di Berlusconi. «Fingono di non vedere che il conflitto di interessi è la malattia mortale della democrazia», scriveva Beppe Grillo nel 2007 sul suo blog, criticando una proposta di normare il settore avanzata dal centrosinistra: «Qui o si risolve il conflitto di interessi o continueremo a prenderlo in quel posto». .

E oggi? La legge sul conflitto di interessi, al netto delle buone intenzioni e delle proposte presentate, non è mai stata approvata. Ci sono altri temi cari al mondo berlusconiano, mai sfiorati dalla maggioranza e dal governo Conte II. Vito Crimi, oggi reggente del M5s, e viceministro dell’Interno, nel 2018, ottiene la delega all’editoria, nel governo con la Lega, e non perde tempo ad annunciare la fine della stagione dei favori del Pd a Berlusconi promuovendo un’importante riforma.

«Non è il mio linguaggio, ma si può anche dire che è finita la pacchia. Il punto vero è che occorre ridistribuire la pubblicità tra tv e carta stampata», ha detto in un’intervista al Fatto. I tetti pubblicitari, alla fine, non sono mai stati introdotti né dal governo Conte I, con Salvini, e neanche dal Conte II, con i democratici come alleati. C’è un’altra riforma annunciata e mai approvata: quella della Rai.

Questa volta è l’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che, nel luglio 2019, annuncia: «È il momento di aprire una grande riflessione sul servizio pubblico radiotelevisivo. Occorre iniziare a mettere mano a un’azienda che negli anni è stata usata solo come un poltronificio, sacrificando la qualità di moltissimi professionisti, mentre ancora oggi c’è chi si mette in tasca stipendi da milioni di euro».

Emendamento Mediaset

Anche della riforma del servizio pubblico si sono perse le tracce con la sistematica occupazione e spartizione tipica di ogni stagione politica: un direttore a te, un altro a me; un conduttore a me, un altro a te. Una riforma quella della Rai che dalle parti di Mediaset non vedono di buon grado perché il duopolio si regge sulla difesa dell’esistente. «Immaginali come dei vasi comunicanti (Rai e Mediaset), se sposti e cambi uno dei vasi, produci effetti anche nell’altro. Tutto deve restare immutato, appena agiti quel tema, dalle parti di Cologno Monzese (sede di Mediaset, ndr), vanno in subbuglio», dice un esperto del settore.

I rapporti di buon vicinato che con Gianni Letta ha garantito, nel Partito democratico, Goffredo Bettini, consigliere di Zingaretti, sono stati ulteriormente ampliati con le aperture del M5s. Nel luglio 2020 Di Maio incontra Gianni Letta, ma mette le mani avanti: «È insopportabile il livello di retropensiero che si cela dietro a ognuno dei miei incontri». A novembre arriva l’emendamento salva Mediaset che difende l’azienda dall’assalto della francese Vivendi, affidando all’autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’ultima parola in tema di aggregazioni.

«È una norma giusta, ho incontrato Confalonieri una sola volta per venti minuti, Letta due volte in occasioni istituzionali e non abbiamo discusso di questi temi», dice Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico del M5s. Per la formazione del Conte ter tra le ipotesi c’è anche il soccorso azzurro, in fondo per Berlusconi la pacchia non è mai finita.

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