Ora che la questione ong si è di nuovo affacciata sulle prime pagine dei giornali e lo scontro con i partner europei è tornato a costituire una parte significativa del posizionamento del nuovo governo, è inevitabile porsi una domanda: quanto conta la questione migratoria nell’Italia post pandemia?

Molto, sembra rispondere Giorgia Meloni, che alla conferenza stampa di ieri ha alzato ulteriormente il livello dello scontro in corso con il governo francese, definendo le critiche alla sua gestione del caso ong, «aggressive, incomprensibili e ingiustificabili». I sondaggi sembrano darle ragione. Dal 25 settembre, quando il suo partito aveva raccolto il 26 per cento dei voti, Fratelli d’Italia è dato dai sondaggi tra il 28 e il 29 per cento ed è probabile che le prossime rilevazioni mostreranno ulteriori incrementi.

È affrettato attribuire alla nuova battaglia questi risultati. Governi appena formati e partiti usciti vincitori dalle elezioni godono quasi sempre di un periodo di “luna di miele” con gli elettori in cui i loro consensi aumentano indipendentemente dalle loro azioni. Da notare anche che mentre Fratelli d’Italia cresce di 2 o 3 punti, l’alleato Forza Italia ne sta perdendo almeno un paio, segno che quella in corso è almeno in parte una redistribuzione di consensi interna alla coalizione.

L’immigrazione conta?

Ricercatori e analisti dell’opinione pubblica sono quasi tutti concordi nel sostenere che da tempo l’immigrazione ha perso la centralità che aveva in passato tra le preoccupazioni degli italiani. «In campagna elettorale non è esistito come tema e tutto fa pensare che anche alla vigilia di questi sviluppi fosse molto marginale», dice Lorenzo Pregliasco, fondatore della società di sondaggi e consulenza politica Quorum/YouTrend.

Le ricerche indicano che è almeno dall’inizio dell’epidemia di Covid che la classifica delle preoccupazioni degli italiani è dominata dalla situazione economica, lavorativa, dal timore per l’aumento del costo della vita e delle energie in particolare. Con la pandemia, anche la salute e la tutela della sanità hanno scalato numerose posizioni.

«Ma non è affatto detto che un tema resti marginale nel momento in cui un governo spinge, l’opposizione si schiera, i media ne parlano – continua Pregliasco – L’aspettativa che ho è che la rilevanza nell’opinione pubblica non arrivi ai livelli di preoccupazione per la situazione economica, ma che salga».

Parlare d’altro

Il fatto che con ogni probabilità le preoccupazioni economiche resteranno dominanti nell’opinione pubblica è il principale problema di Meloni, ma non l’unico. La presidente del Consiglio deve anche affrontare i suoi riottosi alleati e non lo può fare restando inerte un tema che, per abbandonato durante il suo lungo riposizionamento come leader rispettabile, resta centrale per la destra. La Lega di Matteo Salvini scalpita per avere spazi e visibilità su un tema che considera centrale nella sua identità. Con l’altro alleato, Forza Italia, intento a farle il controcanto su ogni provvedimento, Meloni non può permettersi di aprire un altro fronte interno alla coalizione.

A questo si aggiunge la difficile fase economica che sta attraversando il paese. Fin dal suo insediamento analisti e commentatori suggerivano che il governo Meloni avrebbe battuto sui temi identitari, «a costo zero tra mille virgolette» come sottolinea Pregliasco, per distogliere almeno in parte l’attenzione dell’opinione pubblica dai temi che richiedono la spesa di soldi e su cui ha quindi minori margini di manovra.

Se da un lato Meloni sta riuscendo a non esporsi a destra, dall’altro sembra che la tattica della “cortina fumogena” non stia funzionando più di tanto. Secondo un sondaggio Ipsos, realizzato questa settimana per la trasmissione Dimartedì, il 56 per cento degli intervistati sostiene che la battaglia contro le ong è una misure inutile e di propaganda, mentre il 49 per cento dice di essere scettico sulla capacità del governo di migliorare la situazione economica.

Le conseguenze

Meloni ha davanti un paradosso stile Comma 22: riuscire a mettere insieme la battaglia identitaria e di principio sull’immigrazione con qualche risultato dal punto di vista economico e del costo della vita. Il problema è che queste due strade sono difficilmente percorribili insieme.

Per tenere a bada i suoi alleati e fedeli i suoi elettori più radicali ha bisogno di tenere alto il volume su temi come l’immigrazione e di provocare qualche scontro europeo. Ma questo rischia di aumentare l’isolamento del paese, che è invece necessario rompere per garantire al paese le risorse necessarie a combattere gli effetti della crisi.

È dilemma esemplificato dall’incidente diplomatico con la Francia. La differenza tra alleati che premono e la presidente del Consiglio che cerca di mantenere un’immagine istituzione non è sfuggita a Paolo Armaroli, docente di diritto pubblico comparato ed ex deputato di Alleanza nazionale. «Io distinguerei la posizione del presidente del Consiglio da quella dei suoi alleati. Da una parte mi sembra che ci sia stata responsabilità anche in questo caso. Forse sono stati altri soggetti hanno sbandierato il successo».

Armaroli condivide in sostanza le posizioni di Meloni. Ma per quanto la presidente del Consiglio si sia mostrata molto più sobria di quanto si può immaginare avrebbe fatto Salvini al suo posto, la reazione francese rimane dura e lo scontro rischia di degenerare privando l’Italia del suo naturale alleato sui temi delle regole fiscali europee. Una solidarietà che oggi è particolarmente importante per il nostro paese, visto che i francesi non sono più i “prossimi nella lista”, ma stanno affrontando l’attuale crisi con indicatori migliori persino di quelli della vicina Germania.

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