Bergoglio ha rotto con una lunga tradizione di fiancheggiamento con le forze moderate e anche se non ha “benedetto” alcun leader progressista. La sinistra, in astenia da punti di riferimento, ne ha spesso richiamato le parole. Le sue rotture segnano uno spartiacque
«Chi sono io per giudicare?». Con questo semplice interrogativo papa Francesco, appena eletto, irruppe fragorosamente nella politica italiana. In una conversazione informale con i giornalisti sull’ aereo che lo riportava a Roma da Buenos Aires Bergoglio si rivolse così a chi gli chiedeva un giudizio sull’omosessualità. Una specie di rivoluzione epocale. Con una semplice battuta il papa gettava alle ortiche secoli di condanne assolute. Era chiaro che si apriva un pontificato dai tratti inediti.
Il primo papa che si richiamava a Francesco d’Assisi doveva far sospettare che la chiesa sarebbe passato attraverso cambiamenti radicali. Se ne ha prova anche nel suo ultimo libro, Spera, dove il pontefice esprime in una frase sola il senso della sua visione sul mondo: «È curioso che nessuno si inquieti di veder benedetto un imprenditore che sfrutta le persone o che inquina la casa comune, mentre ci si scandalizza se il papa benedice una donna divorziata o un omosessuale».
L’accoglienza
Questa visione accogliente nei confronti dell’altro e del diverso costituisce la cifra del suo pontificato. Fin dal suo primo viaggio a Lampedusa, egli ha espresso fisicamente la vicinanza agli immigrati cioè alle persone più bisognose di “accoglienza”. L’identificazione del migrante come di una persona fragile, che necessita di tutela e attenzione, ha posizionato la chiesa di Francesco in una direzione ben precisa, e ben lontana da quella dei suoi predecessori: non solo da papa Ratzinger ma anche da papa Wojtyla. Il suo ultimo atto va proprio in questa direzione: la lettera inviata ai vescovi americano stigmatizzava con parole durissime la politica delle deportazioni di Donald Trump.
Fare i conti con la modernità
Papa Francesco ha spinto la chiesa in una direzione sociale inedita. L’impronta caritatevole connota da sempre il mondo cattolico e le sue istituzioni ecclesiastiche; tuttavia, raramente si è tradotta in posizioni che prendano in considerazione le cause della povertà. La Rerum novarum di Leone XIII inseriva la questione sociale emersa dalla nuova società industriale in una visione corporativa e integrativa, di cui i movimenti democratico-cristiani del Novecento sono stati gli interpreti sul piano politico.
Ma quella visione è diventata obsoleta: il suo riferimento ad una società organica non si attaglia alle dinamiche socio-economiche contemporanee. Papa Francesco ha invece assunto i conflitti dell’età moderna tanto da aver dedicato particolare attenzione, in varie circostanze, alle questioni sociali più scottanti. Scontrandosi anche con il mondo conservatore dentro e fuori la chiesa. Ma ha apertura anche verso le tematiche post-materiali come quella ambientale.
I limiti della dottrina
La costante attenzione agli ultimi, anche ai carcerati, e alla complessità della società contemporanea ha trovato però dei limiti in alcuni punti fermi della dottrina cattolica. Uno di questi riguarda l’interruzione di gravidanza. Qui il pontefice ha mantenuto una posizione di condanna ferma. La comprensione per gli “errori” e il perdono non arrivano al punto da piegare la chiesa in direzione liberale. E lo stesso vale, con maggiori sfumature, sul fine vita, benché in questo caso la condanna sia di principio e lasci qualche spiraglio alla casistica (del resto, Bergoglio era un gesuita…). Se su alcuni aspetti della società papa Francesco ha mostrato grande apertura, pensiamo anche enciclica dedicata all’ecologia, Laudato Si’ – del resto in linea con la scelta del suo nome pontificale – sui cardini della dottrina morale ha mantenuto un profilo tradizionale.
Il pontefice ha preso atto della secolarizzazione, di quanto essa abbia invaso e trasformato l’Occidente. Ma non ha mai lanciato strali contro la modernità. Piuttosto, si è chiesto quanto abbiano fatto gli uomini di chiesa per contrastare tutto questo e se non ci siano state debolezze e concessioni ai vizi del mondo. Lo stile di vita di alcuni alti prelati impegnati in dubbie attività finanziarie e residenti sontuose magioni è stato implicitamente stigmatizzato dalla scelta del papa di abitare nello spartano ritiro di Santa Marta.
La voce di Bergoglio si è levata anche verso le condotte immorali di violenza sessuale operate dal clero. Ma non a sufficienza: su questo piano Francesco non è immune da critiche. Ha agito con timidezza, se non in maniera omissiva, nei confronti dei tanti casi di pedofilia o molestie sessuali in tutto il mondo. Il papa ha iniziato a fare pulizia ma ha lasciato ancora angoli bui da spazzare.
L’inclinazione sociale e le aperture al mondo moderno sono dispiaciute a molti. L’opposizione interna soprattutto in terra americana si fatta sentire più volte.
Ora, però, di fronte all’aggressività di Donald Trump nei confronti degli immigrati anche i vescovi americani si sono allineati al pontefice. La scarsa simpatia che Bergoglio raccoglie negli ambienti moderati contrasta con l’entusiasmo a volte sopra le righe che riceve a sinistra. Inevitabilmente risuonano accenti comuni con la visione del mondo delle forze progressiste; in particolare c’è sintonia sui temi che ruotano intorno all’uguaglianza degli uomini e quindi ai diritti umani e sociali. Non per nulla si intitola Fratelli tutti la terza enciclica di papa Francesco. La destra invece, soprattutto quella italiana, ha sofferto molto il suo pontificato, troppo lontano dalle sue posizioni.
Guerra e pace
Infine, la voce politicamente più rilevante di Bergoglio è risuonata sulla guerra. L’invocazione della pace è una costante di ogni pontefice. In altri tempi ha però avuto un impatto minore. Papa Wojtyla gridò “mai più la guerra” di fronte alla guerra in Iraq ma non ebbe una continuità di impegno tanto che nessuno lo annoverò tra i pacifisti. Papa Francesco si mosso diversamente. Dal momento dell’invasione russa in Ucraina non si è mai stancato di chiedere una tregua.
Per questo è stato attaccato dai sostenitori ciechi della guerra, da chi pensava che le armi dovevano tacere solo quando si sarebbe trascinato in catene a Kiev il capo del Cremlino. Anche le missioni del cardinale Matteo Zuppi, inviato da Francesco in tutte le capitali per cercare una forma di accordo sono state irrise, benché il presidente della Cei sia riuscito a riportare in patria un certo numero di bambini ucraini rapiti.
Ancora più forti sono state le critiche rivolte alle esternazioni di Papa Francesco nel corso del conflitto in Medio Oriente. La condanna della rappresaglia indiscriminata di Israele, costata decine di migliaia di morti innocenti, ha fatto dimenticare la sua invocazione per un rilascio degli ostaggi, tanto che si è riversata sul pontefice l’accusa, in sintonia con l’estrema destra israeliana, di un sottile antisemitismo.
Le rotture operate da Bergoglio segnano uno spartiacque. Difficilmente il suo successore potrà tornare indietro. Il suo dialogo con il mondo moderno e le sue contraddizioni rappresenta un punto di non ritorno per una chiesa che non vuole chiudersi in sé stessa.
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