Uno dei temi cardine di Giorgia Meloni è la «difesa dell’interesse nazionale». Il disastro delle Marche è un modo per ricordarci qual è l’interesse dell’Italia durante la crisi climatica: in poche ore è caduta la pioggia di mesi, in alcuni punti ha superato i 400 mm, ha fatto vittime, feriti e danni, costretto la Protezione civile a intervenire su gommoni da rafting.

L’interesse nazionale è raccontato dal Global Climate Risk Index 2021: l’Italia negli ultimi vent’anni è stata il 22esimo paese al mondo per rischio climatico, il sesto per vittime, il nono per vittime in proporzione alla popolazione, il dodicesimo per impatto economico. Dal 2013 al 2019 il danno da eventi collegabili all’emergenza climatica, secondo Greenpeace, è di 20,3 miliardi di euro, circa 3 miliardi all’anno. Ogni autunno seppelliamo i morti e ricostruiamo un paese esposto più di altri – per latitudine, geografia, orografia – agli estremi di un clima compromesso.

Eventi eccezionali?

Come spiega Giulio Betti, climatologo Cnr Lamma, l’origine delle alluvioni nelle Marche è stata «un flusso di aria calda e umida che si è scontrato con un fronte di aria fredda, nel quale era difficile prevedere il punto di innesco».

Nel resto d’Italia era una giornata estiva, con temperature alte e città con percezioni tropicali. In questa scena di passaggio tra estate e autunno è arrivato il disastro, con la forma di un temporale che si autorigenera, colpendo a lungo un’area limitata: «È difficile attribuire un singolo episodio ai cambiamenti climatici», aggiunge Betti. «Quello che abbiamo visto però rientra nei modelli. È un evento eccezionale, che segue altri eventi eccezionali di questo tipo».

Altri ne arriveranno: il punto è l’aumento della loro frequenza. In Italia, alle porte dell’autunno, secondo Legambiente sono stati già 132 gli eventi estremi, e siamo all’inizio della stagione critica, resa più pericolosa dal Mediterraneo con temperature quasi da Mar Rosso e dal luglio-agosto più torridi della storia europea, secondo i dati Copernicus.

Morire per il clima

È un rintocco della crisi climatica a una settimana da elezioni che diversi pezzi della società civile, dagli attivisti alla comunità scientifica, avevano chiesto di incentrare su questa crisi. Il clima nei programmi c’è, ma quasi per un burocratico dovere d’ufficio, mentre nell’unico confronto tra i leader Letta e Meloni si è parlato di prospettive ambientali per un minuto su novanta.

È questa la proporzione di attenzione che la politica sa dare all’emergenza, giornate luttuose a parte. Il segretario del Pd, ieri: «Come si fa a pensare che la lotta al cambio climatico non sia la prima priorità?».

Le vittime delle Marche sono compagne di sventura di quelle della Marmolada e, come allora, Draghi si è recato sul luogo del disastro. L’Italia è un paese dove si può morire di clima in ogni stagione, per eventi allo stesso tempo imprevedibili (il dove, il quando) e prevedibilissimi (il cosa, la gravità, i lutti, i danni).

Dissesto

L’Italia non sta facendo la sua parte. Ostacola il Fit for 55, il piano europeo di riduzione delle emissioni, cercando eccezioni e scappatoie. Secondo l’osservatorio Anie nella prima parte del 2022 sono stati installati solo 1,2 GW di rinnovabili, con l’obiettivo di 10 GW lontanissimo.

Anche sull’adattamento, la preparazione agli scompensi che non possiamo evitare, il nostro territorio in perenne dissesto non è pronto. Come spiega Marco Bussone, presidente dell’Unione comuni e comunità montane, servono più fondi, ma anche una governance diversa.

«La pianificazione deve uscire dai confini dei comuni ed essere su base di valle, i rischi dei fiumi non si fermano ai limiti del borgo». E poi c’è il tema degli alert: «Il sistema nazionale è ancora in fase di sperimentazione, oggi i comuni spendono soldi per sistemi locali che non funzionano».

Il dissesto passa infine dal consumo di suolo, altro tema in perenne attesa di una legge nazionale. Secondo Ispra, nelle Marche è stata impermeabilizzato (e reso letale in caso di temporali) il 7 per cento del territorio, 137 ettari nel 2021.

Come un terremoto

Come spiega Antonio Trabucco, ricercatore Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici «ogni forma di adattamento offre possibilità di sopravvivere. Sistemi di alert avanzati, basati sull’aumento della capacità di calcolo, sono fondamentali. E poi pianificazione, pulizia degli alvei, un’idea diversa di dove e come costruire».

Serve una visione d’insieme, ma il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici è in un cassetto dal 2018, in un periodo in cui hanno governato tutti tranne FdI. Parlare solo di dissesto però è non rendersi conto della scala di quello che è successo.

L’«alluvione del secolo» in Germania del 2021 ha portato fino a 250 mm di pioggia in due giorni, qui parliamo di quasi il doppio in un quarto del tempo. «È l’equivalente di un terremoto e come tale va affrontato, serve una diversa cultura del rischio», spiega Luca Brocca, dirigente del dipartimento idrologia del Cnr.

«Una quantità di acqua del genere provoca disastri ovunque, non c’è un territorio che può sostenerla. L’area era anche provata dalla siccità, col suolo indurito e non in grado di infiltrare l’acqua, che si è scaricata sull’abitato». Una migliore cura del territorio allevierebbe i danni, ma il livello principale di intervento è la riduzione delle emissioni e dell’impatto sul clima, a livello nazionale, europeo e globale. È questo l’interesse dell’Italia. 

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