C’è una data cruciale nella vicenda dell’inchiesta della procura di Trapani sulle Ong che si salvano migranti in mare, nell’ambito della quale sono stati intercettati anche diversi giornalisti non indagati, in particolare la freelance Nancy Porsia, come rivelato da Domani. E’ il 12 dicembre del 2016, all’inizio del governo Gentiloni, dal ministero dell’Interno esce Angelino Alfano e arriva Marco Minniti.

Quello stesso 12 dicembre in un ufficio del Viminale alcuni funzionari licenziano una lunga informativa. L’oggetto è “attività di analisi dei flussi migratori in Italia” ed è indirizzata allo Sco, ovvero all’ufficio di polizia giudiziaria che gestirà l’intera inchiesta di Trapani.

E’ una sorta di libro mastro delle future attività investigative, l’annunciazione della tesi che verrà poi sostenuta su diversi livelli. Sul piano politico dallo stesso Minniti, che di lì a poco cercherà di bloccare le Ong attraverso il codice di condotta ritenuto inaccettabile da molte organizzazioni. Sul piano giudiziario dalle indagini sulla nave Iuventa, partite, pochi giorni prima, dalla denuncia di un gruppo di agenti di sicurezza privati, alcuni dei quali legati al mondo leghista e di Fratelli d’Italia.

A firmare quel rapporto è il capo del servizio immigrazione del Dipartimento della Pubblica sicurezza dell’epoca, Vittorio Pisani. Funzionario che, due anni dopo, con il governo Conte, verrà nominato vice direttore dell’Aisi il servizio di sicurezza interno..

Senza dati coerenti

La premessa dell’informativa si basa sui dati dei flussi migratori: «La situazione di instabilità politica dell’area , nonché la minaccia di organizzazioni radicali islamiche (Isis, Boko Haram, etc.) (…) hanno determinato l’intensificazione del fenomeno migratorio verso l’Europa», scrive Pisani. Per poi aggiungere: «Tale incremento (…) trova una concausa nella massiccia presenza di assetti navali, appartenenti o gestiti dalle Ong, che pattugliano nel sud del mediterraneo». Un “fattore di attrazione”, evidenzia il ministero dell’Interno.

Il passaggio successivo introduce una delle accuse principali che verranno poi mosse alle Ong, quella di essere una sorta di traghetto che entrando nelle acque territoriali libiche va a prendere direttamente i migranti, con la scusa dei salvataggi.

Per dimostrare questa tesi, il rapporto del dicembre 2016 elenca la posizione di 14 unità delle Ong in mare durante l’intero anno. Ci sono le coordinate, il nome della nave, l’armatore, la Ong che la utilizza e, soprattutto, la distanza dalle coste libiche. Il limite delle acque internazionali è quello delle 12 miglia: nelle centinaia di casi analizzati solo in un caso una nave usata dal Ong risulta essere entrata nelle acque territoriali libiche, a sette miglia nautiche dalla costa.

Eppure l’analisi che ne segue trae conclusioni opposte rispetto ai dati portati a supporto: «I citati assetti (…) usano navigare in prossimità delle acque territoriali libiche, spingendosi spesso all’interno delle stesse».

Per il ministero dell’Interno questa analisi basta per lanciare le indagini sulle Ong: «Alla luce di ciò - si legge nel documento - questo servizio ha avviato un’attività di raccolta informazioni circa le modalità di salvataggio dei migranti in mare, svolte dalle navi di proprietà delle Ong».

Per rafforzare la tesi, sono elencati altro quattro casi di sconfinamento nelle acque libiche, che avrebbero riguardato due organizzazioni, il Moas e Medici senza frontiere. Quattro casi su qualche centinaio di interventi.

Il 3 maggio 2017 il comitato Shengen del Parlamento invita per una audizione in contrammiraglio Nicola Carlone, all’epoca responsabile delle attività di salvataggio in mare della Guardia costiera. I parlamentari sollevano il tema degli sconfinamenti e la risposta è netta: i casi sono stati 16 nel 2016 e “tutti autorizzati”. Nessuna violazione da parte delle Ong.

La mancata collaborazione

Il secondo fronte aperto dalla relazione firmata dal prefetto Pisani nel 2016 riguarda la mancata collaborazione delle Ong alle indagini di polizia. E’ una delle accuse rivolte alle organizzazioni umanitarie durante l’inchiesta di Trapani, che, nel 2017, è stata alla base dell’emanazione del codice di condotta proposto da Minniti. Per sostenere la tesi, il ministero riporta alcune note dei team Frontex, con le interviste fatte agli equipaggi dopo gli sbarchi: «Gli equipaggi a bordo delle navi delle Ong non sempre raccolgono gli elementi di prova dalle imbarcazioni dei migranti».

E’ però difficile pensare il contrario, visto che un volontario impegnato in un salvataggio non ha ruolo da poliziotto. Quell’informativa del ministero ha fatto da base alle successive indagini della polizia, che a loro volta hanno alimentato le inchieste delle procure che poi Minniti ha usato come conferma delle proprie battaglie politiche sulle Ong e i migranti che tanto consenso gli hanno portato, al punto da spingerlo, nel 2018, a candidarsi alla segreteria del Partito

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