Deve essersi trattato di un equivoco. Un malinteso. Bisogna immaginarsi una di queste riunioni nelle quali vengono prese decisioni solenni, in genere le chiamano cabine di regia, vuoi mettere.

Ci sarà stato un addetto al marketing, per forza, a un certo punto ci sarà stato un brainstorming. Forza, tiriamo fuori un’idea unica. Uno dei consulenti del governo per l’archeologia, per i beni culturali, chissà, per la storia, per la geografia, deve aver detto che sì, infatti, Pompei è proprio un unicum, oddio, gli sarà scappato, e dall’altra parte del tavolo, un tavolo lungo, affollato, non hanno colto, non avranno sentito: stavano parlando del progetto di un treno. Qui dev’esserci stata la confusione. Bella idea, facciamolo, un treno unico, da Roma a Pompei, uno al mese: ehi tu laggiù, intendevi solo andata, o mettiamo anche il ritorno?

Deve essere andata così, oppure questa storia non si spiega, c’è Nanni Loy nascosto da qualche parte che ci sta osservando, per vedere se ridiamo, se piangiamo, per vedere fino a che punto arriviamo prima di dire su, burloni, basta.

Intorno ai treni del resto girano da tempo le più facili battute, sia quando di mezzo c’è la destra, sia quando di mezzo c’è Napoli coi suoi dintorni. Non c'è cabarettista che nei suoi numeri non citi il famoso metrò dell'arte, quello che adotta il teorema Marco Ferradini («Lascia che ti aspetti per ore») e passa di rado. «Per non rovinare le stazioni», dicono gli spiritosi.

Col nuovo Roma-Pompei inaugurato dal governo, siamo proprio in quei paraggi. È solo stata istituzionalizzata la modica quantità. Il treno dei desideri sarà sui binari la terza domenica del mese, come la Fierucolina del Carmine a Firenze e il mercatino dell'antico a Spilamberto.

Dagli account social del ministero, ieri s’è affacciato in video il ministro Sangiuliano per dire che così «coniughiamo insieme tradizione e modernità», senza chiarire l’una o l’altra, ma l’ha detto bene, guardando dritto in camera, come si fa negli spot, ce ne sono tanti nei quali si coniugano la tradizione con la modernità, una volta pure per una merendina.

Insomma, questo treno che va in alta velocità dalla capitale agli scavi nasce perché possiamo gustarcelo, deve essere un’esperienza. Prima che lo immaginassero, bisognava arrivare a Napoli e poi cambiare, prendere la Circumvesuviana, e onestamente pure quella è un’esperienza. Per introdurre i turisti alla visita archeologica, li fanno viaggiare su certi vagoni che risalgono ai tempi di Plinio. Il Vecchio. Qualcuno aspettando ci perde la pazienza, qualcun altro invece ci ritrova la fede. Se tutto fila liscio, è stata la mano di Dio.

È una linea frequentata pure dai pendolari. Tre settimane fa c’è stato un incendio sui binari, a metà maggio è andato in fiamme il tetto di un treno, a gennaio si sono rotte pure le porte del bus sostitutivo. Così, mentre il ministro Sangiuliano nello spot promette di costruire «un nuovo immaginario italiano», in Campania aspettano che qualcuno costruisca pure qualche vagone nuovo.

Gli antichi Romani, di tutto questo, che ne potevano sapere. Pompei era 240 km a sud, collegata da buone strade. La storica inglese Mary Beard scrive che un dispaccio urgente giungeva dalla capitale in un giorno.

Per un viaggio normale ne occorrevano tre, una settimana procedendo per piccole tappe. Quando il Vesuvio si fece sterminatore, Pompei era romana da 200 anni (fanno all’incirca 2.400 spostamenti a bordo del neo-treno). «L’élite romana e la sua cerchia – scrive Beard in Pompei – avevano buoni motivi per fare questo viaggio». Il golfo di Napoli era un luogo di relax, una specie di St. Tropez, pure Cicerone aveva preso casa. Negli archivi c’è traccia di viaggi in treno verso Pompei di nobili teste coronate. Nel 1909 arrivarono tutti insieme i sovrani inglesi, la zarina madre e la principessa Vittoria, partiti da Napoli alle 11.15 e giunti alle 11.40, per poi fare il tragitto inverso dalle 15.40 alle 16.10. In sostanza: lo stesso tempo che si impiega oggi, coniugando la tradizione con la modernità.

© Riproduzione riservata