Schivo e di sinistra, classe 1980, Matteo Lepore è il sindaco di Bologna ed è uomo da tenere d’occhio: si schermisce, ma si capisce che sarà un protagonista della nuova èra del Pd. Lo si capiva già alla vittoria smagliante nel suo comune, ben prima delle primarie. Dove comunque si è schierato con decisione per Elly Schlein. Parla poco, ma quando parla scatena il finimondo fra i suoi.

Ha proposto, per esempio, di cambiare il nome del Pd in “partito del lavoro”. Non è pentito: «Non cambiamo nome, ma alla fine tutte le mozioni hanno dichiarato che il Pd è un nuovo partito laburista. E questo mi rende orgoglioso. È un’ottima mediazione».

Sindaco Lepore, il nuovo corso del Pd è emiliano-centrico e Bologna-centrico?

La segretaria è bolognese, e anche tante persone entrate in direzione fanno parte della storia di questi ultimi anni della Bologna città più progressista d’Italia, da Mattia Santori alla segretaria del Pd Federica Mazzoni. Sì, forse c'è stato il riconoscimento del percorso fatto, dalle primarie, ma forse anche dal movimento delle sardine che diede una gran mano a vincere le regionali.

A far vincere Stefano Bonaccini, nel 2020. Poi in Emilia-Romagna c’è stato lo scontro fra due idee diverse di Pd?

Non è stato uno scontro. La mozione Schlein si è concentrata nel coinvolgere la società civile, per aprire il Pd e farlo tornare centrale nella società. Bonaccini ha puntato più alla riflessione interna. Ma entrambe le cose sono importanti. Noi abbiamo preferito investire sull’esterno perché dopo il voto delle politiche, con quel grande fronte astensionista, ci sembrava il vero punto per la costruzione dell’alternativa.

Bonaccini ora è presidente. L’area degli sconfitti collaborerà?

Credo che manterrà gli impegni che ci siamo fatti domenica all’assemblea nazionale, dove sia Elly che Stefano hanno dichiarato che occorre lavorare per unire e ridare forza al Pd. Per farlo occorre mettere da parte il correntismo e ricercare un’unità attorno alle cose da fare. E tutto il gruppo dirigente è chiamato a questo banco di prova. In fondo c’è anche una nuova generazione in campo, nell’assemblea e nella direzione, che ha un dna nuovo, senza le scorie del passato.

Battere il correntismo è un grande classico di tanti segretari. Perché Schlein ce la dovrebbe fare? E perché volete cancellare le aree culturali?

Elly è la prima segretaria a non provenire dai partiti fondatori, è una nativa del Pd, fa parte di una generazione che si è forgiata nell’attivismo e nei movimenti per l’ambiente e per i migranti. Ha un modo di fare politica che non è quello delle correnti, che è di per sé un antidoto importante. Lei è impermeabile alle correnti. È utile che esistano aree culturali, cioè idee, ma quando parliamo di correntismo parliamo di poltrone, non del confronto fra le idee. C’è un altro punto: Elly ha chiesto che il Pd torni a rappresentare un blocco sociale, a costruire alleanze nella società. Sarà importante se il Pd ricucirà le relazioni con i sindacati, fra nord e sud, rimetterà insieme i sindaci sulle loro battaglie per i servizi sociali, la sanità, la casa. Quel ruolo smarrito di collante della società e mobilitatore di un’alternativa. Tutto questo restringe lo spazio alle correnti.

Una rottamazione gentile?

No. Ma siamo arrivati a un giro di boa, all’apertura di un nuovo ciclo. Elly in assemblea ha ringraziato Livia Turco e ha detto che abbiamo bisogno di persone sagge che ci aiutino. Ma ha dato una nuova cifra al Pd, partito comunità, che prima di pensare alle beghe interne pensa alle persone e al pianeta. E quindi è più radicale e più chiaro. E il suo compito non sarà solo riportare il Pd in piazza ma anche fare proposte alternative alla destra. La prima, importante, è sui migranti. Schlein, protagonista nel parlamento europeo del dibattito sulla riforma del regolamento di Dublino ma anche nelle mobilitazioni sociali, è la persona più titolata a proporre una nuova legge sull’immigrazione da discutere con questo parlamento e questo governo. Perché questo governo ha il dovere morale prima che politico di abolire la legge Bossi-Fini. Non dico che dobbiamo arrivare a una legge Meloni-Schlein, ma porci l’obiettivo di chiudere vent’anni di strumentalizzazioni. È un grande dovere del Pd ma anche di Giorgia Meloni, perché per troppo tempo il paese si è diviso per un dividendo elettorale sulla vita dei migranti. È ora di dire basta. Bene dire no al rifinanziamento della guardia costiera libica, e proporre una nuova Mare nostrum ma serve una legge sull’immigrazione e la cittadinanza. Lo chiedono le nostre imprese, ma anche i bambini delle nostre scuole.

Non potevate farlo quando eravate al governo?

Nell’ultimo decennio il Pd non ha mai avuto una maggioranza tale da poter approvare leggi così. Ora dall’opposizione dobbiamo spiegare chiaramente il nostro profilo. La prossima volta che gli italiani voteranno, devono sapere qual è la differenza fra destra e sinistra.

Dovete dimenticare Minniti?

Non serve personalizzare. Il rapporto fra la sinistra e le leggi sull’immigrazione viene da più lontano, da quando eravamo al governo con D’Alema e i Ds, da quando lungo la terza via abbiamo scelto di essere più cauti su lavoro, immigrazione e diritti per non spaventare l’elettorato. Oggi dobbiamo tornare ai fondamentali, e con le morti in mare e il bisogno di lavoratori che le nostre imprese ci chiedono, occorrono forze politiche responsabili e lungimiranti. Abbiamo già privato sulla pelle delle persone cosa significa fare leggi sbagliate. Come sull’ambiente. Elly non ha commesso errori, perché non era nel gruppo dirigente, e ha la libertà per fare un passo indietro e poi due avanti: vale anche per le leggi sul lavoro.

Un Pd radicale spaventa un pezzo del suo elettorato? I cattolici sono in sofferenza.

“Elettorato cattolico” vuol dire tante cose. Spesso dai cattolici emerge una radicalità sui valori molto forte. Ho apprezzato molto le parole di Castagnetti, che resta nel Pd e chiede pluralismo. Che è la prima garanzia che ha dato Elly. Anche senza citare Papa Francesco, dal mondo cattolico, emerge molta più politica solidale e progressista di quanto non sia emersa da altre parti. Si tratta di dare a questi valori una forma politica e una nuova capacità di rappresentanza.

Le primarie hanno sconfitto nel Pd l’idea del partito degli amministratori, e dei sindaci, in gran parte sostenitori di Bonaccini.

Tanti sindaci hanno sostenuto Stefano, ma con Schlein gli amministratori erano 800. Vuol dire che i sindaci oggi dovranno fare ancora di più esercizio di coesione e unità di quella che si chiede alla segretaria e al presidente. Del resto noi sindaci siamo cosi impegnati da non aver tempo di stare dietro alle chat delle correnti: è una battuta del presidente dell’Anci Antonio Decaro che condivido molto.

Ci saranno sindaci in segreteria?

Da statuto nella segreteria del Pd siede il coordinatore dei sindaci del Pd. Ed è bene, perché sono quelli che si battono in prima linea contro problemi concreti come il riscaldamento globale, diritto alla casa, diseguaglianze.

In queste ore lei ha scatenato una polemica sui social per la decisione di chiamare “partigiani” e non “patrioti” i combattenti antifascisti, nella toponomastica della città. L’accusano di aver regalato alle destre la parola patria.

La patria per me è un grande valore, soprattutto oggi con una premier che parla di nazione e va a braccetto con i nazionalisti. Bologna è medaglia d’oro al valore militare perché i partigiani hanno lottato per la liberazione della patria ridandole la dignità che il fascismo le aveva tolto. Per noi da sempre partigiano è sinonimo di patriota. Nei cartelli indicheremo il “partigiano” con la brigata di appartenenza e il periodo di militanza. Chi non è stato partigiano continuerà a chiamarsi patriota. E tutto il caso che è nato fa pensare che ci sia solo una gran voglia di rissa.

Che rapporto ha la città più rossa d’Italia con il governo più di destra della storia della Repubblica?

Franco e leale. Finora abbiamo avuto momenti di confronto positivo, i progetti che abbiamo deciso di portare avanti hanno trovato ascolto. Penso in particolare al confronto del ministro Fitto con l’Anci sull’attuazione del Pnrr. L’Italia deve avere un governo capace di chiudere il programma nelle scadenze e di dare una risposta al disagio sociale che cresce. Confermo la voglia dei sindaci del Pd di dare una mano. Ma per fare l’amore bisogna essere almeno in due: spero che il governo metta da parte qualche bandiera ideologica e resti sulle cose concrete.

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