«Se sciogliere significa liquefare, annullare, annientare, no, il Pd non va sciolto. Ma se significa mettersi a disposizione di un processo per costruire una nuova sinistra e rappresentare un’alternativa alla destra, la risposta è sì». Rosy Bindi, ex ministra e ex presidente dem ha firmato, con altri, un manifesto che chiede al Pd di andare «oltre sé stesso».
«Se qualcuno pensa che bisogna liquidare una storia», spiega ancora, «no, sono la prima ad esserci affezionata, e ad aver fatto la mia parte. Ma i problemi non si risolvono con procedure ordinarie. Senza la disponibilità del Pd a dare vita a un nuovo processo, insieme ad altre forze e alle tante istanze della società, è difficile che possa nascere qualcosa di significativo. D’altro canto perderebbe di significato lo stesso Pd.

Presidente Bindi, è in corso un’opa ostile di Conte contro il Pd e per l’egemonia sulla sinistra. Chiedete al Pd di arrendersi a M5s?
Nessuna resa per entrambi. Semmai ricordiamo ai Cinque stelle e a Conte che non possono ambire a una primazia o al monopolio della sinistra. Il Pd ha radici nelle forze popolari e democratiche del paese e ha tutti i titoli per essere protagonista di una nuova stagione. Insieme ai Cinque stelle e con altri pezzi e pezzettini della sinistra, che da soli non vanno da nessuna parte. Ma deve aprire le porte: l’astensionismo non è solo di chi non si riconosce più nella politica, ma anche di tante realtà innovative che non trovano rappresentanza. Poi va riconosciuto che in campagna elettorale M5s ha spinto su temi che hanno intercettato una parte dell’elettorato del Pd. Ma perché il Pd lascia la pace, il lavoro, la lotta alla povertà ad altri?

In realtà il M5s ha dimezzato i voti ed è resuscitato solo grazie alla decisione di rompere con il Pd. E Conte ha detto che non si siederà più a un tavolo con Letta. Insomma non sono loro ad aver scelto l’autosufficienza. Perché non vi rivolgete a Conte?
Ci rivolgiamo al Pd e ai Cinque stelle. Che del resto per anni hanno affermato che non erano né di destra né di sinistra. Tuttora Conte si arrampica sugli specchi per segnare una differenza fra essere progressisti o di sinistra puntando sulla parola "cambiamento" che è ambigua. Gli chiedo di mettersi a disposizione della costruzione di una nuova sinistra in collaborazione con il Pd e gli altri.

Insisto: sono stati i Cinque stelle a rompere con il governo e con il Pd.
Non sono fra quelli che buttano la croce su Letta, le responsabilità sono di molti. Sicuramente i Cinque stelle hanno iniziato le danze. Ma quella rottura si poteva almeno tentare di neutralizzarla, si poteva provare a non lasciarli fare. Al Pd rimprovero però di essersi troppo appiattito sul sostegno al governo Draghi. Giusto sostenerlo, ma bisognava essere capaci di far capire che il progetto della sinistra che si candidava a governare il paese aveva un’altra visione.

Una parte del gruppo dirigente Pd sostiene che l’agenda Draghi deve essere l’agenda Pd. Nella sua idea, dovrebbe essere espulsa?
Al Pd serve chiarezza. Fanno un congresso? Evitino che sia solo l’elezione di un segretario. Se posso dare un consiglio: si aprano le porte, si accetti un confronto vero, si faccia votare alle primarie quelli che hanno partecipato al dibattito. Invece partecipa alle primarie anche chi non ha mai discusso delle proposte in campo. Si chiarisca la natura del partito. Non vuol dire espellere qualcuno ma trovare una rotta. In direzione non sono riusciti a fare una lettura del voto condivisa: per alcuni si è perso verso Calenda, per altri verso i Cinque stelle.

Calenda e M5s non sono sommabili. Il Pd dovrebbe spaccarsi?
Se si vuole costruire una sinistra di governo, non una forza minoritaria e massimalista, che ha l'ambizione di governare con i valori della sinistra che io ritengo che siano oggi la risposta alle sfide del nostro tempo – la crisi climatica, la pace, le diseguaglianze, la grande sfida delle immigrazioni – serve un dibattito a porte aperte. Le alleanze si decidono sulle compatibilità dei progetti e dei programmi.

Una non iscritta, per esempio Elly Schlein, potrebbe essere l’espressione, da segretaria, del processo che lei indica?
Non partecipo al gioco dei nomi. Il segretario o la segretaria si sceglie dopo aver individuato la comunità politica che deve rappresentare.

Nel Pd in tanti accusano quelli che sono usciti dal Pd: non hanno combinato un granché ma ora dettano la linea da fuori. Come lei?
Fra ex Pd ci sono tante posizioni diverse. Io dal 2018 ho un’agenda fitta di iniziative, non sono iscritta al Pd anche perché il Pd non ha mai dimostrato di avere bisogno di me. Lavoro con chi chiede il mio contributo: ho la tessera dell’Azione Cattolica, di Libera, dell’Anpi e quella onoraria della Cgil. Insomma non mi pare di "non combinare un granché” o di non fare politica. Poi ci sono quelli che se ne sono andati, hanno fatto un partito e poi sono rientrati.

Lei parla di Art.1: hanno provato a fare un partito “di sinistra”, ma non ha funzionato.
Be’, non sono fra loro. Non ho fatto un biglietto di andata e ritorno. Senta: vorrei che si superassero i due vizi speculari della sinistra italiana: quello della divisione e della tendenza minoritaria e gruppettara, e quella della subalternità al pensiero dominante liberista imbevuta di manie di governismo. Due vizi che non consentono alla sinistra di essere competitiva.

Le è stata presidente del Pd. La sua attuale erede accusa il Pd di maschilismo. Il Pd è maschilista?
Sì, nel Pd ci sono tanti capicorrente che non hanno intenzione di lasciare il posto ad altri o ad altre. Ma un messaggio lo voglio mandare anche alle donne: con questa legge elettorale che prevede l’alternanza nelle liste, se una donna accetta più candidature sa perfettamente che lascia il posto agli uomini. Se queste cose le fanno le capigruppo, le ex ministre, le ex vicepresidenti, le dirigenti, è giusto dire che il Pd è maschilista, ma anche che è un partito che non conosce la solidarietà fra le donne. C’erano dieci donne pluricandidate e solo due uomini pluricandidati, di cui uno è il segretario e l’altro è rimasto a casa da entrambe le parti. Le dieci donne pluricandidate hanno lasciato a casa almeno cinque donne.

Parlava della pace, tema secondo lei lasciato ai Cinque stelle. Kiev è sotto le bombe. Pacifismo significa che l’Ucraina si deve arrendere?
No. Significa però capire che la strada della guerra sta creando una situazione insostenibile per l’Ucraina, per la Russia e per l’Europa. Nessuna resa, ma chiediamo che ci si adoperi non solo a mandare armi ma anche ad aprire vie diplomatiche.

Senza aiuti militari l’Ucraina oggi sarebbe territorio russo.
Se fossi stata in parlamento avrei votato per l’invio delle armi, almeno all’inizio, perché un paese aggredito deve essere aiutato a difendersi. Io sto con l’Ucraina e non ho nessuna simpatia per Putin, anzi aggiungo che se l’Italia dipende dal gas russo vuol dire che gli sconti a Mosca non li hanno fatti solo Salvini e Berlusconi. L’Occidente ha la grande responsabilità di aver abbandonato il tentativo di Gorbaciov. Ma è possibile che di diplomazia parli solo il papa?

L’Ucraina dovrebbe rinunciare alle regioni che sono state annesse alla Russia con referendum farsa?
La ricetta non ce l'ho e non tocca a me averla. So che dal 2014 nessuno si è adoperato a risolvere il conflitto, quando è nato. Ma questi sette mesi di guerra ci dicono che più si va avanti e più la strada del cessate il fuoco e di una possibile intesa si complica. Qualcuno sta provando a capire se ci sono margini per una trattativa? Oltre che andare a Kiev, qualcuno pensa di andare a Mosca? So che sedersi al tavolo con l’aggressore fa ribrezzo, ma il compromesso si cerca anche con l’aggressore.

Alla futura manifestazione della pace ci saranno le bandiere dell’Ucraina? A quella della Cgil c’era una bandiera con le insegne di GazProm. Non fa impressione?
Capisco la sua provocazione. Io vedo che Ursula von der Leyen si veste di giallo e blu, ne capisco il messaggio. Spero che la manifestazione per la pace sia convocata dalle associazioni e aperta a tutti. Ma se si chiede la pace bisogna avere la capacità di parlare con tutti.

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