Rischia, il Pd, a tenere la linea del “nessun nemico a sinistra”. Serve invece «ritrovare tra i cittadini lo spirito del 1996 cercando una vittoria politica che con l’oggi guardi al domani». Arturo Parisi, ispiratore e padre della stagione del centrosinistra prodiano, è fra i maggiori conoscitori dei guai che derivano dalle fratture nel centrosinistra.

Professor Arturo Parisi, dopo quello che lei ha definito “matrimonio di convenienza” con i Cinque stelle, ora il Pd ha stretto un patto politico con Azione e Più Europa. Anche queste nozze di convenienza?
Se me lo avesse chiesto il giorno stesso avrei addirittura parlato di nozze finte. A stare ai giornali del giorno dopo, all’enfasi dei toni, sembrerebbe invece un vero matrimonio d’amore. Tre anni fa alla base dell’improvvisato incontro tra M5s e Pd stava la comune paura delle elezioni, e il desiderio dei primi di restare al governo e dei secondi di non perdere il treno che consentiva di ritornarci dopo un doloroso anno di astinenza.

Questa volta i due partner esibiscono invece un desiderio di una lunga vita in comune. Tre anni fa l’innamoramento per Conte crebbe fino a raggiungere livelli all’inizio inimmaginabili, ma pur sempre dopo qualche mese di convivenza. Questa volta invece, è vero che il corteggiamento è stato visibilmente “litigarello”, “l’amore bello”, sembrerebbe alla fine esploso.

Nel gioco di ruolo, il Pd rischia di dover fare la sinistra?
Perché rischia? È la parte che il Pd ha scelto fin dall’inizio. Guidato dalla linea di “non aver nemici a sinistra” ha prima reintegrato la diaspora dei Bersani - D’Alema per ora nella sua stessa lista, e va ora completando l’opera attraverso il coinvolgimento della componente anti Draghi che assieme ad Art.1 aveva dato vita nella scorsa legislatura a LeU. Chi sarebbe quindi, in questa specie di unione a due gambe con i demo-radicali, la sinistra se non il Pd?

Certo, non senza divertimento, ho letto su un quotidiano, sul tema più autorevolissimo che autorevole, non più la vecchia sinistra, ma una sinistra guidata da uno come Letta, sicuramente di casa e non più, come nel caso di Prodi, da un papa straniero. Una sinistra che, grazie all’incontro con i demo-radicali si rigenererebbe passando dopo quasi tre quarti di secolo come la socialdemocrazia tedesca le acque termali di Bad Godesberg. Una sinistra che grazie al “nuovo Enrico” porterebbe a termine il lavoro iniziato tanti anni fa dal “dolce Enrico”.

Da quando è iniziata, secondo lei, la deriva del “nessun nemico a sinistra”?
Dalla scelta di ricomporre, tra i vecchi segretari del partito, la frattura dei soli Bersani e D’Alema e prendere invece definitivamente atto della rottura di Renzi.

Renzi non ha fatto tutto da solo?
Certo. E per di più alla Renzi. Anche Bersani e D’Alema non hanno tuttavia chiesto il permesso. Né nel contrastare a viso aperto la linea del Partito, né nel festeggiarne la sconfitta. Nel partito di provenienza sarebbe stato impensabile. Ma oramai, anche nell’unica formazione politica che ha orgogliosamente reintrodotto la categoria di partito, siamo in un tempo nel quale, la parola inizia con una p sempre più minuscola.

In questa ritrovata unità della sinistra come farebbe il Pd a lasciare alla loro sorte i rossoverdi?
A questo punto mi sembra difficile. Dentro questo schema di unione a due gambe argomentata dalla necessità di fare fronte alla vittoria degli amici di Putin e di Orbán non mi sembra che Letta abbia nascosto a Calenda la loro presenza sul lato sinistro da lui presidiato. Né che Calenda sia andato oltre la preoccupazione che qualche esponente anti draghiano possa essere eletto nel maggioritario col contributo dei suoi voti.

Abbandonata la linea iniziale generata dalla caduta di Draghi che avrebbe richiesto una alleanza “tra tutti e solo” tra quanti avevano difeso il suo governo, la ragione sociale della aggregazione è ormai cambiata. Peraltro di tutto possono essere accusati i rossoverdi, fuorché di chiarezza e di coerenza. Basta ripassarsi le ripetute e orgogliose rivendicazione di Fratoianni della loro costante opposizione a Draghi. Prima e in occasione della sua caduta. Prima, durante e dopo l’accordo con Calenda.

Con il M5s è finito tutto?
A partire dalla nuova ragione sociale dell’alleanza a guida Pd è comprensibile chiederselo. E sento crescere l’auspicio di un nuovo incontro che si lasci alle spalle l’immediato passato. Se rompere con i rossoverdi mi sembra difficile, ricucire con Conte mi sembra invece molto difficile. Ad occhio direi che non è questione di mesi. Anche se la legislatura passata ci ha preparati a tutto. Se si pronunciano e allo stesso tempo si dimenticano con sempre maggiore facilità le parolacce, come dimenticare il tempo recentissimo della corrispondenza di amorosi sensi?

Il processo di "romanizzazione dei barbari" è perso per sempre?
Direi che semmai il problema è a questo punto un nuovo imbarbarimento dei romanizzati. È vero che le campagne elettorali durano il tempo che durano, in questo caso pochissimo, ma, una volta riassaporato, il sangue può inselvatichire gli animali che furono selvatici oltre misura.

Certo il campo progressista e il riferimento massimo di tutti i progressisti il Pd dovrà dimenticarselo per un po’. A stare all’impostazione della campagna scelta dai Cinque stelle sembra piuttosto aprirsi una stagione di dura competizione che li spingerà a fronteggiarlo con pugni populisti e, per di più, in graffianti guanti progressisti. Forse a quel punto le festose foto dell’incontro con i demo-radicali potrebbero finire almeno per un po’ in un film meno festoso.

Letta si richiama all’Ulivo, e Prodi benedice il patto con Calenda: le ricorda più l’Ulivo o l’Unione?
Grazie al fatto che dal tempo dell’Ulivo è passato più di un quarto di secolo, la capacità di distinguerlo dall’Unione sta diventando roba da specialisti. E perciò si possono dire molte cose. E già troppe sono quelle che sento. Ad esempio che ammesso che l’Unione sia stata la brutta copia dell’Ulivo, con l’Ulivo non ha nulla a che fare neppure il patto stretto tra Letta e Calenda. A quella esperienza – fortunatamente – superiore. L’unico che potrebbe risponderle in modo autentico è Prodi.  

Lei è fra quelli che ricordano bene le rotture del centrosinistra: l'alleanza solo elettorale, almeno con verdi e sinistra, rischia di non essere una proposta di governo?
Come dimenticarle? Come non dimentico che la prima causa della distinzione tra Ulivo e Unione fu per le leggi elettorali diverse che a dieci anni di distanza hanno regolato le due competizioni. Da una parte il Mattarellum che grazie alla prevalenza dei collegi uninominali maggioritari premiava l’unità. Dall’altra il Porcellum costruito in modo da sfruttare le divisioni e la competizione interna alla coalizione. E ricordo l’esperienza del ‘96 che, anche in assenza di una vittoria elettorale assoluta, premiò politicamente la nostra unità nel governo. Così come ricordo quella del 2006 che favorì, secondo le intenzioni, un’imprevista rimonta del centrodestra, logorando la nostra unità già dentro l’azione di governo.

E ricordando questo mi viene da invitare a ritrovare tra i cittadini lo spirito del 1996 cercando innanzitutto una vittoria politica che attraverso l’oggi guardi al domani. A chi invece pensa solo ad un buon risultato immediato che almeno ridimensioni l’annunciata vittoria della destra consiglio di lasciarsi alle spalle le foto cartolina dell’accordo fra Letta e Calenda. Paradossalmente la partita si può riaprire più che a partire da una composta foto di gruppo, a causa della ripresa di una competizione dentro l’aggregazione a guida Pd e con le formazioni estranee e altrimenti opposte al tridente di destra. Molto all’ingrosso: quanto più si compete e si allarga il campo alternativo al centrodestra, tanto più si restringe quello del centrodestra. Quanto più si restringe il campo del centrodestra tanto più è aperta la partita.

Sarebbe un ritorno al Pd che aveva fino a ieri puntato al proporzionale tralasciando la "vocazione maggioritaria" delle origini?
Più o meno. Questa potrebbe essere la ricaduta finale. Passare d’altra parte in pochi giorni dal ritorno al proporzionale, alla presa d’atto della necessità di aggregarsi per fare i conti con il maggioritario del Rosatellum era già una impresa durissima. Ma passare in poche ore dall’invito a non fare i difficili perché l’aggregazione da costruire è nient’altro che un apparentamento tra partiti diversi, prima all’evocazione di una coalizione ulivista, e poi all’integrazione dei leader dei partiti alleati in una sola lista, è un’impresa temeraria. Anche se fosse solo per il breve tempo delle elezioni.

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