Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, già rettore dell’Università Federico II e ministro dell’Università, è un uomo tranquillo, che tranquillamente spiega che sul caso di Andrea Cozzolino, l’europarlamentare indagato a Bruxelles di cui si era parlato per la cabina di regia del Pnnr, «la cabina di regia non è mai stata operativa, era stata sospesa». E che tiene per sé la delega alla cultura «perché è uno degli asset più importanti della città ed ho in testa una visione trasversale, aperta a tutte le energie e le contaminazioni tra cultura popolare ed iniziative di nicchia». Non si scompone neanche quando gli si dice che la sua maggioranza, che pure tiene, sembra ormai l’ultima trincea di una storia chiusa.

Sindaco, lei è stato eletto con un’alleanza larga, da M5s ai centristi, che ormai sembra una storia del secolo scorso. Quel centrosinistra non ha più un approdo nazionale.

Si parla di alleanze con categorie superate. Il vero tema è trovare un progetto di società condiviso, intorno al quale poi coinvolgere le persone. C’è troppo distacco rispetto ai bisogni reali delle persone. Il tema è fare una proposta di società nuova che sia riformista ma anche radicale e che dia risposte sulle vere questioni: il lavoro, il salario, la casa, i giovani, la precarietà, uno sviluppo che sia ambientalmente sostenibile. Ma senza slogan, parlando di cose concrete.

Non sembra possibile però: gli attuali vertici di M5S e Terzo Polo, Conte Calenda e Renzi, hanno scavato fossati fra loro, così profondi che non è verosimile immaginare ricuciture.

Se parliamo di leader il progetto sparisce subito. E invece è più importante, perché ci debbono stare gli elettori. Le regionali lo dimostrano: come facciamo a riportare a votare il grande popolo di centrosinistra che si è astenuto? Con una proposta politica. Il voto ha dimostrato anche che l’accordo fra leader o fra partiti non basta.

Voterà alle primarie del Pd?

No, lasciamo al mondo del Pd la sua scelta. Metto però a disposizione di tutti l’esperienza di Napoli. Qui lavoriamo insieme sia con M5s che con i centristi, e lavoriamo bene sulle cose. Il tema non è capire cosa fa una singola forza, oggi il progetto deve partire dalle esperienze locali. Bisogna chiedersi perché il centrosinistra governa nel 70 per cento dei comuni ma ha solo quattro regioni: perché i comuni sono i luoghi in cui si riesce a fare la sintesi della proposta in cui i cittadini si riconoscono.

Dunque meglio Stefano Bonaccini e il partito degli amministratori?

Sia Bonaccini che Schlein sono indispensabili al Pd. Lui porta l’esperienza delle amministrazioni locali, la capacità di dare risposte ai bisogni quotidiani dei cittadini, il buon governo. Mi piace la sua idea di ripartire dai territori. Lei porta un’idea più radicale, sui diritti, sui giovani. Indipendentemente da chi vincerà, il Pd deve trovare forza dai contribuiti di entrambi, perché il Pd, al suo meglio, deve essere entrambe le cose. E il Pd resta un perno fondamentale di una alleanza larga.

Comunque vada, il Pd avrà un segretario del Nord. È vero che Stefano Bonaccini è sostenuto da due presidenti di regione del sud, Emiliano e De Luca, e Elly Schlein da due ex ministri del Sud, Boccia e Provenzano. Ma il partito parlerà emiliano.

Il problema non è dove è nato il segretario. Il timore è per un Pd che non abbia antenne reali al Sud, che abbia una comprensione reale dei temi, fuori dagli stereotipi. Nel Mezzogiorno ci sono problemi ma anche tantissime opportunità. L’ho detto anche in campagna elettorale per le politiche, si parla di Mezzogiorno in maniera non contemporanea, per luoghi comuni: reddito di cittadinanza, assistenzialismo, fondi che non si spendono. Mi aspetto un livello di dibattito e una proposta più alta. E se non lo fa il Pd stiamo messi male: deve essere uno dei protagonisti di questa proposta. Ci vuole un Pd che sa, e si mette in sintonia. Anche perché le elezioni si vincono al Sud. Io l’ho sempre sostenuto, e gli ultimi dati elettorali ce lo dicono .

«Il Sud è un problema ma anche opportunità»: anche questo come luogo comune non è male.

E invece no. Prendiamo ad esempio Napoli. È una città che ha delle difficoltà, ma ha anche un’esplosione turistica straordinaria, una creatività incredibile, è il palcoscenico di gran parte degli eventi teatrali, cinematografici e canori del paese, con tanto talento, tanta impresa creativa e innovativa. Ha università e centri di ricerca di eccellenza, qui c’è impresa di eccellenza, soprattutto nel manifatturiero avanzato, nel digitale, nella moda. I dati dell’agroalimentare vanno molto bene, quelli dell’export ci dicono che il Sud e la Campania sta andando benissimo. Non siamo quelli del reddito di cittadinanza. Dunque dobbiamo ragionare su quali sono gli investimenti da fare, su cosa scommettere. Ma ci vuole gente che sta sul pezzo, non che discute di luoghi comuni.

Resta che il taglio del reddito di cittadinanza è un problema innanzitutto per il Mezzogiorno.

Mi preoccupa molto, l’ho detto a tutti i ministri che ho potuto incontrare. Sicuramente ci sono stati abusi e storture, che giustamente andavano eliminate, ma per farlo non ci vuole tanto, basta fare un analisi incrociando le banche dati. Il fatto è che il reddito ha dato un sostegno a tanta marginalità sociale. Ora verrà meno questo sostegno, e sarà sostituito sulla base del concetto vago dell’occupabilità. Ma perché una persona sia occupabile non c’è solo il requisito dell’età, c’è quello delle condizioni di salute che consentano di lavorare. E delle competenze: uno deve saper fare qualche cosa. Così invece corriamo il rischio che dalla sera alla mattina nuclei familiari che non hanno una possibilità di generare reddito si trovino senza soldi per vivere. E senza un progetto chiaro di formazione. Che poi è il vero limite del reddito com’è stato fin qui: le politiche della formazione sono state un fallimento. Bisogna ripensare a a politiche di formazione più serie. E dove non si può far altro, puntare su lavori di pubblica utilità. A Napoli l’abbiamo fatto sul verde, sull’accompagnamento, sul portierato sociale e sono state tutte esperienze molto positive. Non voglio pensare che improvvisamente decine di migliaia di famiglie si trovino senza reddito. Sarebbe un problema a tutte le latitudini, ma nel Sud, dove c’è più povertà, il problema sarebbe più grande.

Teme una reazione popolare?

Temo una tensione sociale. Il reddito è stato anche un calmiere di tanta microcriminalità perché ha determinato condizioni di maggiore serenità sociale. Invito il governo a valutare attentamente l’impatto di ogni sua decisione.

Autonomia e gabbie salariali: il governo ce l’ha con il Sud?

La forma di autonomia varata dal governo ce l’ha con tutta l’Italia, perché frammenta il paese, e non affronta il tema più importante che è la riduzione dei divari, che non sono solo fra Nord e Sud ma tra aree urbane e periferie, fra zone montane e costiere. Proprio in momento in cui le sfide globali sono sempre più sfide continentali, la frammentazione dell’Italia è una prospettiva di indebolimento del paese. Mi auguro che questo progetto, in questa forma, non vada avanti. Sugli stipendi differenziati serve fare chiarezza: la concorrenze fra territori fa male, soprattutto quella sui servizi fondamentali come scuola e sanità, anche questo indebolisce e dividere. Il tema dei salari non può essere affrontato con una battuta: è vero che ci sono aree del Nord in cui l’affitto è un costo importante, ma al Sud la qualità dei servizi, scadente, è un costo aggiuntivo per le famiglie. Se non c’è il tempo pieno nelle scuole le famiglie debbono pagare la baby sitter, e anche i servizi per i ragazzi, che più spesso al Nord vengono forniti dal pubblico. Morale: ci sono diseconomie in tante parti d’Italia, se vogliamo dare una risposta alle necessità delle famiglie, sono d’accordo. Ma la risposta non sono gli stipendi differenziati, sono contrarissimo.

Sull’autonomia differenziata lei ha convocato un’intera giornata di consiglio comunale. Che avete concluso?

C’è stato un dibattito approfondito e qualificato, sono intervenute anche le forze di opposizione. Spero che facciano lo stesso altri sindaci, perché di autonomia si deve discutere anche nei comuni, non solo nelle regioni. Noi siamo gli enti locali di prossimità, quelli che erogano i servizi, e che parlano con i cittadini. E Napoli che è la più grande città del Mezzogiorno e la terza d'Italia: la sua la deve dire. C’è stata una posizione compatta del consiglio. E anche con le opposizioni, con posizioni diverse, condividiamo la preoccupazione di un progetto che può essere molto pericoloso per il Mezzogiorno.

I primi passi del governo Meloni visti da Napoli?

Siamo in attesa di capire cosa vuole fare sul Pnrr e sul tema dell’aumento dei costi. E sui fondi di coesione: è stata abolita l’Agenzia per la coesione, ne ho parlato con il ministro Fitto che mi ha assicurato che faranno una proposta a breve. Sulle politiche per il Mezzogiorno, attendiamo di capire qual è la linea che si vuole seguire.

Meloni non è venuta ancora a Napoli?

Non ancora, l’ho invitata a venire, mi auguro che appena si libera un po’ lo faccia. Vorrei avere l’occasione per dirle di persona che Napoli è la grande occasione per l’Italia, perché se parte Napoli parte il Sud, e se parte il Sud la storia d’Italia può cambiare veramente. E so di interpretare il pensieri di migliaia di persone che lavorano in questa terra.

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