Il “caso Soumahoro” è una mazzata per chi opera nell’accoglienza?

Secondo Filippo Miraglia, è solo «l’ennesima vicenda usata per attaccare quelli che lavorano nel campo dei servizi per gli immigrati. Sembra che se uno fa il commerciante o produce armi è una brava persona a prescindere; se invece usa le sue competenze e la sua passione per accogliere dignitosamente persone che ne hanno diritto, ruba lo stipendio. Che normalmente è basso, da contratto delle cooperative o del commercio».

Miraglia è forse il maggiore esperto di immigrazione in Italia. Siciliano, giornalista, scrittore, la sua università è stata l’Arci – che da oggi inizia il suo congresso nazionale – di cui da anni è il responsabile del settore.

Al netto del caso, e delle vicende giudiziarie, è una bella spinta all’idea che l’accoglienza sia un business.

Ma se uno viene in Italia a chiedere asilo, che è un diritto, chi dovrebbe farla l’accoglienza? Uno che fa il suo lavoro e prende il suo stipendio. E che business fa?

Il tema è sensibile, ogni sospetto scatena la propaganda.

Noi dell’Arci difendiamo il modello di accoglienza contrastato da Matteo Salvini e dalla Lega. Che parte dalla cura delle persone e delle comunità che le ospitano, e punta ad un risultato positivo.

Al contrario gli interventi dei decreti Salvini, vero ministro della propaganda, facevano sì che gli accolti avessero meno servizi dunque meno integrazione. Favorendo i grandi centri di accoglienza, che hanno un impatto visivo e sociale negativo, si alimenta la cattiva stampa per gli stranieri - l’immagine di uomini ammassati ha un suo effetto – e il disagio, perché con meno servizi le persone vanno in giro a chiedere l’elemosina.

Qual è lo stato dell’accoglienza in Italia?

L’arrivo di un numero di persone maggiore dell’anno scorso – poco più di centomila, ma l’Italia ha accolto anche il doppio - ha mandato in tilt il sistema. Accogliamo poco e male perché non si può predisporre un’accoglienza dignitosa senza una programmazione. È un obbligo di legge, il decreto legislativo 142 del 2015, che recepisce la direttiva europea, prevede un piano sull’integrazione e sull’accoglienza. Ma i governi, non solo il governo Meloni, non lo fanno. E lavorare nell’emergenza significa far prevalere i Cas, i centri di accoglienza straordinari che dovrebbero essere invece risposte emergenziali. In questi Cas i soggetti gestori vengono chiamati all’ultimo minuto, perché chi è competente si rifiuta. Si legga il capitolato con cui le prefetture fanno i bando: le gare vanno in gran parte deserte e allora si finisce per ricorrere a soggetti che nel migliore dei casi sono poco affidabili.

Perché?

Perché i soldi sono pochi. Si chiede al mondo del terzo settore di fare accoglienza a un costo ridicolo. Noi alle prefetture spesso rispondiamo no perché vogliamo fare i servizi per bene, assumere gli operatori e pagarli tutti i mesi, cosa che spesso non succede perché i soldi arrivano i ritardo. E non vogliamo abbandonare le persone dentro le case, visto che non ci sono soldi per gli operatori e i servizi.

E quindi che succede?

Che noi diciamo di no e loro, e i prefetti sono costretti a chiamare soggetti per niente adatti, a volte inaffidabili. Ma siccome il Viminale chiede al prefetto di ogni provincia di farsi carico della sua quota di accoglienza, il prefetto alla fine chiama chi risponde.

Sono cose che sanno tutti anche se nessuno le dice. Chieda al Viminale se ha fatto il piano di accoglienza previsto per legge. Poi c’è un altro fatto. Gli arrivi dall’Ucraina dimostrano che con un altro modello, il successo è maggiore. In Italia sono arrivati più di 170mila ucraini, sono stati liberi di scegliere dove andare perché l’Europa ha attivato la direttiva 55 del 2001, per la prima volta. Molti hanno preferito trovare soluzioni nel privato, o nel privato sociale. Lo Stato è intervenuto per il 15 per cento. Insomma ha risparmiato.

Forse gli ucraini non sono migranti economici?

No, gli ucraini sarebbero come i siriani e gli afghani. La differenza l’ha fatta l’Europa lasciando un permesso temporaneo.

L’Europa ci lascia soli?

Questa è una di quelle che chiamo le false evidenze, cose che tutti dicono ma la realtà è l’opposto. L’Italia non è un paese in cui arrivano molti migranti e non è il paese lasciato solo dall’Europa. I numeri dicono che non siamo in grado di gestire un’accoglienza, che ha numeri bassi rispetto agli altri paesi, perché non programmiamo. I governi europei avrebbero potuto votare a maggioranza una modifica del regolamento Dublino, quello che assegna al paese di primo approdo la responsabilità della domanda di asilo e dell’accoglienza. Potevano approvarla a maggioranza, saltando il veto dei paesi di Visegrád, il regolamento lo prevede. Invece hanno preferito la richiesta di aiuto a paesi come la Francia, la Germania, il Belgio che in realtà accolgono più di noi. Ma l’Italia non ne avrebbe avuto necessariamente un vantaggio. Gli altri paesi accolgono più di noi, noi da sempre siamo sotto la media europea, circa 15esimi.

Il governo Meloni li «aiuterà a casa loro» come promette?

Saremmo contenti. Fin qui l’Italia ha fatto il contrario: siamo lontani dall’obiettivo europeo dello 0,7 per cento del Pil alla cooperazione, siamo intorno allo 0,2. E in questi anni i soldi sono sempre diminuiti. In più per fare aiuto allo sviluppo dei paesi di partenza o di transito dei migranti, abbiamo introdotto la condizionalità della collaborazione per la gestione delle frontiere. Non il rispetto dei diritti umani, o il rispetto del diritto internazionale. Quindi di fatto abbiamo finanziato gli eserciti e la polizia. Cosa che rafforza i regimi, Libia, Egitto, Eritrea. E fa aumentare le persecuzioni. E la gente che scappa.

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