I gruppi ancora non si sono formati, ma grazie al segreto dell’urna è emerso che alla Camera tre parlamentari che non fanno parte di Italia viva-Azione hanno deciso di appoggiare Matteo Renzi e Carlo Calenda alla Camera, e i renziani festeggiano.

I deputati di Montecitorio hanno eletto presidente Lorenzo Fontana, sulla sua maggioranza non c’erano dubbi, ma tutti gli altri dopo l’incognita del voto del giorno precedente a Ignazio La Russa (FdI), eletto presidente del Senato a sorpresa, hanno deciso di contarsi. Tutti e tre i maggiori gruppi d’opposizione, Partito democratico, Italia viva-Azione e Movimento Cinque stelle, invece della scheda bianca, per sicurezza hanno dato un’indicazione di voto, in modo che le schede rendessero evidente chi sta con chi.

Fontana, deputato e vicesegretario della Lega, è stato eletto presidente della Camera con 222 voti. Sono 77 quelli, invece, raccolti da Maria Cecilia Guerra, la candidata del Pd, 52 da Federico Cafiero De Raho - l’indicazione del presidente del Movimento Giuseppe Conte, seguita da tutti - e 22 infine da Matteo Richetti, il prossimo capogruppo del terzo polo in quota Azione.

Luigi Marattin, renziano, fa il conto: «Questo significa che ai nostri 19 voti se ne sono aggiunti altri tre. La nostra forza è attrattiva». Il gruppo infatti conta 21 deputati, ma Ettore Rosato, presidente di Italia viva a cui è spettato presiedere l’aula in quanto vicepresidente rieletto più anziano, non ha votato, Elena Bonetti ministra uscente era in missione. Nel Pd, invece ne hanno contati tre in meno, visto che oltre al loro gruppo i dem fanno affidamento su quello dei Verdi-Sinistra Italiana. Tuttavia erano assenti per malattia sicuramente Elisabetta Piccolotti e Nicola Fratoianni.

Le nomine

L’agitazione dopo il voto di La Russa di giovedì si è sentita fino al giorno dopo: «Abbiamo lanciato la proposta di un accordo complessivo, ma non c’è stata risposta né possibilità di intesa e abbiamo deciso di indicare Richetti, così nessuno avrà dubbi su di noi», ripete Maria Elena Boschi, che così come Renzi, continua ad accusare i colleghi del Pd. Vogliono ottenere «un accordo complessivo». Il tema al momento sono le vicepresidenze di Camera e Senato, e le nomine dei questori delle camere, ma, in uno step successivo, le presidenze del Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica che si occupa di vigilare sui servizi segreti, e della Commissione di vigilanza Rai. La prima viene data di norma all’opposizione, la seconda di preferenza.

Il terzo polo è pronto a rivendicare le poltrone: «Non sappiamo chi saranno i componenti del Copasir, è prematuro fare nomi – dice Boschi -. Ma vanno all’opposizione e ci sono le competenze e le capacità nel nostro gruppo per rivestire quel ruolo».

Un gioco di strutture

Nonostante il terzo polo appaia così combattivo, resta il fatto che tutte le questioni dovranno essere discusse internamente. Quindi quello su cui Renzi si è espresso con i giornalisti, un ipotetico posto per vice presidente al Senato di Maria Stella Gelmini e un ruolo per il presidente di Italia viva Ettore Rosato, qualunque decisione sarà presa andrà comunque approvata anche da Carlo Calenda. Rosato stesso, dopo il salto in avanti di Renzi, frena: «Quando sapremo che possibilità abbiamo tra Camera e Senato, ne discuteremo tra di noi».

I colleghi di minoranza, Pd e M5s sono ancora nelle fasi iniziali. Prima di parlare «dobbiamo capire se è stata una forma di vendetta per questa presunta esclusione. Il compito di trattare adesso spetta al segretario Enrico Letta», dice Giuseppe Provenzano.

La prima candidatura in quota dem riportata da Repubblica è quella di Alessandro Zan, l’autore del disegno di legge contro l’omotransfobia che durante la seduta di ieri ha steso uno striscione contro Lorenzo Fontana: «No a un presidente omofobo pro putin». Potrebbe dunque essere Zan il nome Pd per diventare vice del leghista pro-life contro l’aborto e contro “il gender”.

Anche per i capigruppo la decisione è in costruzione. Il Pd pensa ad Anna Ascani alla Camera, e Valeria Valente o Anna Rossomando al Senato. Tuttavia il fatto che Enrico Letta sia pronto ad andarsene, spiegano dal partito, renderebbe in parte più conveniente aspettare il nuovo segretario per decidere il rinnovo, lasciando fino ad allora le capogruppo uscenti, Deborah Serracchiani e Simona Malpezzi.

Vittoria Baldino, vicina a Giuseppe Conte, continua portare avanti la linea dell’individualità: «Non facciamo cartelli elettorali, né d’opposizione. vediamo cosa succede in parlamento di volta in volta». Sulle vicepresidenze ricorda che «dovrebbero spettare all’opposizione, un minimo di interlocuzione tra le forze ci deve essere. Ci sono quattro vicepresidenze al Senato e alla Camera. Parleremo con tutti». Servirà anche l’accordo con la maggioranza, visto che non c’è alcuna regola scritta. Il Movimento, con un nutrito numero di nuovi eletti, è ancora in fase di riordino interno, i capigruppo favoriti sono Mariolina Castellone e Francesco Silvestri, due riconferme.

La decisione dovrà essere presa lunedì, e la resa dei conti sarà il 19 ottobre, giorno in cui si procederà al nuovo voto sia alla Camera sia al Senato per le cariche d’aula mancanti. Per quelle, dice ogni parlamentare che gira in transatlantico, «ci saranno riunioni».

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