Difendere l’italiano e l’identità italiana di fronte «al fenomeno migratorio» rendendo l’italiano lingua ufficiale in Costituzione. È la proposta contenuta in un disegno di legge presentato a novembre dal senatore di Fratelli d’Italia, Roberto Menia. Menia, che ha portato avanti la sua vita politica  a Trieste, ha detto il 27 dicembre al Messaggero di augurarsi che venga messo nel calendario del parlamento nel 2023. La modifica della carta sarebbe di tre righe che pure aprirebbero a molto altro: «L’italiano è la lingua ufficiale dello stato. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerlo e il diritto di usarlo».

«A me non interessano battaglie personali, può presentare la legge anche qualcun altro», ha spiegato Menia. «Vorrei soltanto che sulla spinta di quello che ha detto Giorgia Meloni questa sia la legislatura giusta dopo tanti tentativi falliti». In Francia, ha proseguito, «per esempio, c'è l'obbligo che gli atti normativi vengano scritti in francese. E noi vogliamo preferire l'inglese che è una lingua molto più povera rispetto la nostra?». Anche se finora tutte le leggi sono state presentate sempre in italiano.

«La lingua nazionale è il collante dell'identità di un paese. Lo dicevano Gioberti e Manzoni. Dante ci ha uniti tutti. L'italiano è la lingua più bella del mondo». Per il senatore di FdI perciò dovrebbe essere integrato l'articolo 12 della Costituzione, in cui si afferma che il tricolore è la bandiera della Repubblica.

Ai tempi delle migrazioni

Menia è un militante di lungo corso della destra italiana a partire dal Movimento Sociale Italiano e per un breve periodo presidente del Movimento nazionale per la sovranità. Per lui, «con il suo portato di valori ci­ vili, morali e religiosi», la lingua «sarà strumento di unione e integrazione, tanto più potremo guardare con fiducia e speranza al futuro dell’Italia ed alle prossime generazioni di italiani». 

Un discorso che il parlamentare specifica nell’introduzione al testo della sua proposta: «Tutto ciò vale tanto più in questi anni in cui il fenomeno migratorio pone nuove questioni che attengono da una parte al principio di accoglienza e solidarietà, ma dall’altra vogliono che esso si coniughi a quello del mantenimento e della difesa del­ l’identità italiana delle nostre città e paesi».

Toponimi italiani

A questo, sempre nel disegno di legge, ha aggiunto anche una considerazione per le regioni autonome dove si parlano altre lingue, lasciando intendere che sia un problema che ci siano nomi di luoghi non esplicitamente italiani: «In alcuni casi, elementi di protezione avanzata delle minoranze nazionali o lingui­stiche (il cosiddetto bilinguismo) diventano strumento per l’imposizione di un monolin­guismo nella toponomastica che cancella l’i­taliano: questo succede da anni nell’Alto Adige con il tedesco e inizia ora ad accadere anche nella Venezia Giulia con lo slo­veno». Dal punto di vista storico, l’italianizzazione della toponomastica fu un tema particolarmente sentito dal regime fascista.

Menia, in passato primo promotore della legge che ha istituito il 10 febbraio come Giorno del Ricordo dedicato ai martiri delle foibe, oltre al ddl sulla lingua ne ha presentato un altro sulla festa del 4 novembre delle Forze armate e “della unificazione”: «Festività istituita poco più di 100 anni fa, nel 1919, e allora chiamata Festa della Vittoria, ricor­dando per l’appunto l’esito vittorioso della Grande Guerra appena combattuta, che segnava il coronamento del sogno risorgimen­tale, con la redenzione  di Trieste e Trento e il completamento dell’unità nazionale».

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