Quando la politica calabrese è con l’acqua alla gola rilancia. Alza la posta, come un giocatore di poker. L’acqua che bagna la gola del potere calabrese oggi si chiama pandemia. La campagna vaccinale va avanti col passo di una lumaca zoppa, l’elenco dei favoritismi e dell’uso clientelare dei vaccini è lunghissimo, la categoria “altri” impazza ed è diventata un contenitore di amici, compari e affini da inoculare prima di tutti. Anziani e malati compresi.

La sanità è ancora quello sfascio che fa parlare l’Italia intera e danna la vita dei calabresi. E allora il potere che fa? Risponde all’unisono, senza alcuna distinzione fra destra e sinistra: facciamo il cinema. Costruiamoci la nostra Hollywood e sfidiamo i colossi delle major.

Il cinema a Lamezia Terme

I soldi ci sono, trovati e stanziati a tempo di record, le idee non mancano, lo spazio abbonda: la Città del cinema made in Calabria nascerà a Lamezia Terme. Tutto è pronto, o quasi, per quella che tra la Sila e lo Stretto già chiamano “Spirliwood”, in onore del suo ideatore principe: Nino Spirlì. Il “governatore” facente funzione è uomo di spettacolo, adora le luci della ribalta.

E’ stato lui a raccogliere l’idea di Jole Santelli, la presidente scomparsa prematuramente, di costruire nell’area industriale della terza città calabrese, Lamezia Terme, una nuova e mirabolante Cinecittà.

Santelli volle alla guida di Calabria Film Commission un nome di sicuro impatto, un suo amico, Giovanni Minoli. Settantasei anni, Minoli è stato giornalista e dirigente della Tv pubblica. Inventore di programmi come Mixer, che hanno rivoluzionato il modo di fare inchieste in tv, e ideatore della fortunatissima e longeva serie Un posto al sole. Un uomo di successi clamorosi, ma anche di rumorosi insuccessi. «Giovanni devi fare qualcosa per la mia terra», Santelli raccontò così il suo invito al giornalista. Minoli accettò, ma alla scomparsa della presidente, si dimise, ritenendo conclusa quella missione mai iniziata.

Giovanni Minoli

Toccò al leghista Spirlì, il facente funzione amante della scena, convincerlo a tornare sui suoi passi ricevendone un nuovo “obbedisco”, ma ad una condizione: la realizzazione degli studios a Lamezia Terme.

La città, attaccata all’autostrada, con un aeroporto internazionale e un nodo ferroviario importante, si presta. L’area c’è, è quella dove sorgeva lo stabilimento della Sir (Società italiana resine) di Nino Rovelli. Una delle tante illusioni industrialiste degli anni Settanta del secolo scorso. La fabbrica durò poco, chiuse i cancelli nel 1981, lasciando la solita scia di sprechi, cassaintegrati e devastazioni ambientali. Dai fallimenti della Prima Repubblica ai sogni della Terza.

I soldi ci sono 20 milioni, trovati e stanziati a tempo di record. Altro che la solita, lenta burocrazia calabrese. Il 23 marzo la giunta regionale individua l’area e la concede alla Film Commission per dieci anni in comodato d’uso.  Il 15 aprile stanzia i fondi e lancia il progetto degli studios.

C’è un solo intoppo: il no al piano della Commissione Agricoltura e Turismo del Consiglio regionale. A presiederla Pietro Molinaro, leghista come Spirlì. La lotta all’interno del partito di Salvini in salsa calabrese è feroce. Il centrodestra non ha ancora ufficializzato il nome del candidato presidente per le elezioni autunnali, il facente funzione Spirlì coltiva le sue ambizioni, e questo non piace agli altri capataz salviniani. Ma il parere della Commissione non è vincolante, e arriva anche in ritardo. Si va avanti col sogno di Cinecittà.

(AP Photo/Andrea Rosa)

«Un sogno che può diventare realtà. Io ci credo». Giovanni Minoli è entusiasta. «Ho trovato una Regione con una struttura amministrativa fantastica, si sono messi subito al lavoro. Spero di farcela, del resto credo di avere anche le competenze giuste». A Lamezia, ci dice, ci saranno gli studi per le riprese, il montaggio e la postproduzione. In più «una piscina enorme per riprodurre il mare». Obiettivo la lunga serialità. «Inizieremo col racconto della vita di due donne, un medico e una insegnante, che decidono di tornare nella loro terra. Cominceremo a girare presto, gli esterni a Gerace. Spero di utilizzare tutte le professionalità artistiche del posto, anche per realizzare una docu-fiction su sei donne calabresi di altissimo livello».

Il fallimento precedente

Tutto bene, ma i calabresi di buona memoria sono scettici. E spostano il calendario al 2006-2007. Anche allora si parlò della Cinecittà a Lamezia Terme. Cambiano i personaggi, ma la storia si ripete, e con gli stessi meccanismi. Non c’è Spirlì e il centrodestra al governo della Regione, ma il centrosinistra guidato da Agazio Loiero. Non c’è Minoli, ma un altro potente della televisione pubblica, il calabrese Agostino Saccà.

Agostino Saccà (Foto LaPresse)

Originario di Taurianova, Saccà muove i primi passi nel modo del giornalismo nel “Giornale di Calabria”, prima di approdare alla Rai dove scalerà tutte le gerarchie. Socialista folgorato sulla via di Arcore ai tempi del berlusconismo trionfante, ha buoni rapporti col centrosinistra. Arriva in Calabria anche lui con in testa la fabbrica della “serialità”. Vanta di avere con sé grandi nomi e grandissimi portafogli, da Corrado Passera, a Luca Cordero di Montezemolo, fino ai ricchi produttori indiani di Bollywood. Chris Albrecht, allora amministratore delegato di Hbo, il colosso americano con 40 milioni di abbonati, spedì a Lamezia il suo consulente tecnico per valutare la fattibilità del progetto.

Saccà illuse tutti, al punto che degli stabilimenti fu posta anche la prima pietra. Presenti deputati e consiglieri del Pd calabrese, Loiero in testa, solo il sindaco della città, Gianni Speranza, non fu invitato. Era scettico sul progetto e credeva poco alle illusioni. Quella prima pietra è rimasta orfana, la Cinecittà calabrese non è mai nata, il sogno interrotto.

L’ultima delusione con Muccino

La verità è che in Calabria, terra di grandi registi (Gianni Amelio, Mimmo Calopresti, Carlo Carlei, solo per citare i più noti) il Cinema si è sempre rivelato una grande delusione. L’ultima è targata Gabriele Muccino.

Fu lui, scelto dalla Santelli perché “regista dell’amore” a dirigere un “minifilm” di otto minuti scarsi. Protagonista Raul Bova e la sua fidanzata Rocìo Munoz Murales, costo complessivo 1,7 milioni andati ad una società italo-tedesca.

Storia banale (lui porta lei in Calabria per farla innamorare), rappresentazione grottesca della realtà (arance a Luglio, finocchietto nella soppressata, praticamente una bestemmia, calabresi con la coppola), e contenzioso finale con la Regione.

Vertenza chiusa pochi giorni fa con un accordo: la Regione Calabria pagherà 1,25 milioni alla società produttrice. Punto, i contribuenti calabresi perdono ancora una volta. Perché il video, che doveva già l’estate scorsa promuovere mari e monti calabresi, rimane chiuso in un cassetto. Non è stato trasmesso da nessun circuito tv, né in Italia, né all’estero. Col turismo che alla vigilia della prossima estate è alla canna del gas.

Ricordi agrodolci

Ma i calabresi che allungano lo sguardo oltre lo Stretto e lo spingono fino a Termini Imerese, hanno abbondanti motivi di allarme. Anche in quell’area industriale diventata un deserto, doveva nascere la nuova Cinecittà. I protagonisti gli stessi, Minoli e Saccà. Anche qui il punto di forza era costituito dalla lunga serialità con “Agrodolce”, una fiction che avrebbe dovuto bissare il successo di Un posto al sole.

Anche qui dovevano nascere gli studios e dare lavoro a tutti. L’area scelta quella dell’ex Fiat, 14mila metri quadrati per un investimento (Invitalia e Regione Sicilia) di 13,5 milioni. La società “Einstein multimedia” di Luca Josi incaricò l’archistar Massimiliano Fuksas per realizzare i “Med studios”. Tutto sulla carta, Agrodolce fu trasmessa solo per pochi mesi, poi fu sospesa.

Il resto della storia è una lunga controversia giudiziaria tra Minoli, la Rai e Josi. Nel frattempo, a Termini Imerese, dopo quello della Fiat, è svanito anche il sogno della Cinecittà sicula. «Il progetto era valido, la fiction poteva funzionare, ma i produttori fallirono«, dice oggi Minoli sperando che il sogno calabrese della “Spirliwood” abbia migliore fortuna.

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