All’interno della maggioranza che sostiene il governo, Italia viva ha assunto da mesi la posizione di partito più contrario alle misure di contenimento della pandemia e schierato a difesa degli interessi economici delle categorie minacciate da chiusure e coprifuoco. Ma oltre a sostenere queste posizioni con ragioni politiche, il partito guidato da Matteo Renzi utilizza spesso argomenti privi di riscontri scientifici o addirittura contrari al consenso generale di medici ed esperti.

L’atteggiamento di Italia viva e di Renzi è rimasto costante per gran parte della pandemia. Nelle prime settimane seguite alla scoperta del contagio, Renzi si è mostrato solidale con il resto del governo e ha appoggiato le dure misure di contenimento prese in quei giorni. Ma già verso la fine di marzo, quando il contagio era al culmine della sua diffusione e centinaia di persone morivano a causa del virus ogni giorno, Renzi ha iniziato a chiedere l’allentamento del lockdown. Alla fine di aprile, durante un discorso al Senato, ha detto che le vittime della pandemia di Bergamo e Brescia avrebbero voluto la riapertura dell’economia il prima possibile.

Le ragioni contro le chiusure

La posizione di Italia viva si è fatta ancora più netta con l’arrivo della seconda ondata e nel Consiglio dei ministri la ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ha fatto sistematicamente notare la sua contrarietà a tutte le misure di contenimento che il governo ha adottato.

Per giustificare queste posizioni, i membri del partito hanno spesso fatto appello ad argomenti scientifici. Non vogliamo «chiudere i ristoranti alle 18 perché non serve ad abbassare i contagi», ha detto ad esempio Renzi in un’intervista pubblicata ieri dal Quotidiano Nazionale. Bellanova ha ripetuto più volte che le ultime misure del governo non hanno fondamento scientifico, mentre il deputato Gennaro Migliore ha scritto in un tweet, poi cancellato, che «fare un tampone» o «prendere la metro» è più pericoloso che andare a teatro o andare al ristorante.

I rischi degli spazi chiusi

Si tratta di affermazioni non supportate da prove scientifiche e che, in molti casi, contraddicono apertamente ciò che sappiamo sul coronavirus. Tutti gli spazi chiusi, siano essi aule scolastiche, ristoranti, vagoni della metro o teatri, sono luoghi dove potenzialmente il contagio si può diffondere, soprattutto se non sono ben areati e se le persone al loro interno non indossano la mascherina.

Purtroppo però, questi sono anche i luoghi in cui è più difficile accertare una catena di trasmissione del virus. Una volta identificata una persona positiva al virus sono necessarie risorse enormi per tracciare tutti i luoghi pubblici nei quali è transitata e per individuare e testare tutte le persone con cui è entrata in contatto, risorse che praticamente nessun sistema sanitario europeo ha a disposizione.

I contagi all’interno delle famiglie, invece, sono i più semplici da rintracciare e per questo in genere più dell’80 per cento delle catene di trasmissione viene identificato tra le mura domestiche.

Ma singoli episodi che gli esperti sono stati in grado di ricostruire mostrano come tutti gli spazi chiusi frequentati da molte persone sono potenzialmente pericolosi. Uno studio condotto nello stato di Washington, ad esempio, ha dimostrato che durante le prove di un coro in un teatro, una persona ha infettato 53 dei 61 presenti, nonostante fossero state mantenute le distanze di sicurezza. A gennaio, nove persone sono state infettate in un bar nella provincia cinese del Guangzhou da un cliente infetto non ancora sintomatico. Secondo un altro studio dei Centers for disease control degli Stati Uniti, cenare in un ristorante è un «importante fattore di rischio» per contrarre il virus.

Diversi paesi, come Svezia e alcuni stati degli Stati Uniti, hanno deciso di non limitare l’apertura dei locali e degli altri luoghi pubblici per non sacrificare l’economia e la libertà dei cittadini sull’altare della salute pubblica.

Ma sono scelte che sono state fatte a un prezzo molto caro. La Svezia è un caso di scuola. Quasi seimila persone sono morte nel paese a causa del coronavirus. Gli altri paesi nordici che hanno deciso di attuare misure di contenimento simili a quelle di altri paesi europei hanno visto numeri di decessi molto differenti. Settecento persone sono morte in Danimarca, 350 in Finlandia e meno di 300 in Norvegia.

 

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