«Sono passati più di vent’anni dai primi sbarchi di migranti provenienti allora dalla Tunisia, e ancora parliamo di emergenza. Non se ne può più, l’immigrazione diventi uno dei primi punti dell’agenda di questo governo». Totò Martello è il sindaco di Lampedusa. In tasca ha la tessera del Pd ma non lesina critiche al suo partito. «Mi hanno lasciato solo. Loro a Roma tentennano, Salvini e Meloni alimentano la campagna d’odio, e io ricevo le minacce».

Pietro Bartolo, medico che ha passato anni sul molo dell’isola a curare migranti e riconoscere cadaveri, ora da parlamentare europeo dice: «Gli sbarchi di queste ore dimostrano la totale inutilità degli accordi con la Libia. Soldi buttati al vento, o peggio, regalati a una Guardia Costiera che è una cosa sola con i trafficanti d’uomini. L’aumento delle partenze dalle coste libiche di queste ultime ore dimostra che i trafficanti hanno bisogno di svuotare i campi in vista di nuovi arrivi».

Sono già troppi

A Lampedusa, in ventiquattr’ore, dal 9 al 10 maggio, sono sbarcate 2.146 persone. Una cifra che rischia di far saltare i precari equilibri sull’isola. Nell’hot-spot di Contrada Imbriacola ci sono 1.400 persone, tra container e spazi che al massimo ne possono ospitare 400.

I migranti vengono spostati sulle navi quarantena che il governo ha noleggiato dai privati. La nave Splendid, che dovrebbe accogliere 365 persone, e la Allegra, con 6-700 migranti. Altri 200 sono stati trasferiti a terra con la nave Sansovino. «A tutti è stato fatto il tampone», assicurano le autorità sanitarie dell’isola.

Oltre 400 persone hanno trascorso la notte all’addiaccio sulla banchina del molo militare Favarello. Situazioni al limite, viste le condizioni dell’hot-spot, e quelle sulle navi quarantena denunciate da diverse organizzazioni umanitarie. «Ma chi parla di invasione – dice l’eurodeputato Bartolo - fa solo propaganda. Quando Giorgia Meloni invoca il blocco navale, non sa di cosa parla, il blocco navale lo fai sparando, vogliamo questo?».

«Salvini voleva chiudere i porti. Perché non l’ha fatto? Semplice, sapeva che era impossibile», è l’opinione del sindaco Martello. I dati non autorizzano ad agitare lo spettro dell’Italia invasa, ma diconoa di molte cose.

Fallimento libico

Dal primo gennaio di quest’anno al 10 maggio, sulle coste siciliane (Lampedusa per ovvi motivi geografici fa la parte del leone) sono sbarcate 12.894 persone (1.373 i minori), erano 4.184 nello stesso periodo dell’anno scorso, 1.009 nel 2019.

Nonostante gli accordi con la Libia sottoscritti dal ministro dell’Interno Marco Minniti quattro anni fa, riconfermati da Matteo Salvini nei mesi in cui ha ricoperto lo stesso incarico, e benedetti da Mario Draghi nella sua contestatissima visita in Libia. «Un fallimento evidente», per Pietro Bartolo.

Ritorno al passato 

 «La Libia va aiutata a costruire la pace, non certo ad aumentare i lager. E l’Europa va responsabilizzata: via gli accordi di Dublino, sì al ricollocamento automatico e obbligatorio dei richiedenti asilo. Tutti gli Stati si facciano carico di una situazione disperata. Fino a quando ci saranno guerre, violenze, persecuzioni, fame, la gente partirà sempre». Ma i dati ci dicono anche altro.

Negli ultimi giorni dalle coste libiche non partono più gommoni, ma barconi usa e getta, proprio come qualche anno fa. Il loro costo, racconta chi monitora il mondo degli scafisti, si aggira tra i 10 e i 20mila euro. Una spesa irrisoria per chi riesce ad imbarcare fino a 150 persone che pagano un ticket che oscilla tra i 2 e i 3mila dollari.

Inoltre, le barche sono più sicure dei gommoni monotubolari e senza chiglia made in China, con motori che non possono percorrere 130 miglia. Comportano un minore rischio di affondamento. Meno tragedie in mare, significa anche meno riflettori accesi sulla Libia e sul suo governo in  questa delicata fase di transizione.

Ora la Tunisia

L’altro dato che emerge è quello della nazionalità dei migranti sbarcati nei primi cinque mesi del 2021. Al primo posto (1.716 arrivi) si colloca la Tunisia, al secondo la Costa D’Avorio (1.292), al terzo il Bangladesh (1.216). Ed è proprio la Tunisia, secondo gli esperti, il punto di maggiore crisi nell’area mediterranea in questo momento.

Il Paese è fragilissimo, la democrazia conquistata più di dieci anni fa con la caduta del regime di Ben-Alì e la rivoluzione dei gelsomini rischia di sfaldarsi. Le manifestazioni di massa dei mesi scorsi hanno mostrato una economia sull’orlo del baratro, con un debito pubblico all’84,5 per cento, il dinaro che rispetto all’euro perde il 45 per cento, e la disoccupazione, soprattutto giovanile, ormai oltre il 30.

«Dati che ci dimostrano come abbiamo sbagliato tutto – dice Bartolo -, è necessaria una politica di sostegno per l’Africa del Nord, insieme alla definizione di corridoi umanitari e rotte regolari di ingresso. Alzare di continuo l’asticella favorisce solo i trafficanti di esseri umani».

Per il sindaco Martello «va bene la cabina di regia annunciata da Draghi, ma forse è arrivato il momento che il Parlamento si riunisca per discutere di politiche migratorie. Davvero basta con slogan e annunci».

Uno slogan dei recenti anni passati era stato appiccicato addosso alle Ong, viste come “pull factor”, fattore attrattivo dell’immigrazione. Inchieste giudiziarie, sequestri delle navi, hanno ridotto al lumicino la presenza delle navi umanitarie nel Mediterraneo. Non c’è più “attrazione”, ma gli sbarchi continuano.

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