La guerra tra Israele e Hamas divide le università.

La scorsa settimana circa quattromila tra docenti e ricercatori di tutti gli atenei del paese hanno sottoscritto una «richiesta urgente», indirizzata alla ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) a cui chiedono «di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli atenei italiani di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane».

La richiesta di boicottare gli atenei israeliani ha acceso una polemica feroce nel mondo universitario. I 4mila docenti sono però una minoranza in una comunità accademica che conta circa 100mila professori tra assunti, precari, collaboratori e assegnisti di ricerca.

In molti tra i docenti si sono esposti disconoscendo la richiesta dei loro colleghi. Come la professoressa Antonia Baraggia, docente di Diritto pubblico comparato presso l’Università statale di Milano, A Domani dice di essere «arrabbiata» perché la richiesta dei 4mila «va contro la libertà accademica».

La professoressa – che parla a titolo personale – ribadisce che l’università «è un luogo plurale» perciò è giusto che vi si confrontino «opinioni diverse su temi divisivi». Baraggia – referente di alcuni accordi internazionali per la statale – spiega che «la libertà accademica non può che essere arricchita dagli scambi multiculturali».

Non solo, racconta anche che nella sua esperienza di collaborazione con la comunità di studiosi israeliani è entrata in contatto con un ambiente «plurale e non indottrinato», in cui proprio gli atenei sono tra i più fervidi «oppositori» della politica di Netanyahu e «sanzionarli sarebbe solo dannoso», mentre proprio questo dovrebbe spingere ad «aumentare il dialogo con loro».

La chiusura nei confronti dell’accademia israeliana, oltre a impedire lo sviluppo di un pensiero critico, rappresenta l’opposto della «neutralità istituzionale» che un’università dovrebbe avere perché sia davvero libera, valore che invece è ben presente nel comunicato della Crui, pubblicato il 20 ottobre, due settimane dopo l’inizio delle ostilità e che la Professoressa Baraggia sottoscrive appieno. La Conferenza ha espresso «vicinanza a tutti gli studenti provenienti dalle zone di guerra», senza distinguere tra Israele e Palestina, e «ribadito che gli atenei sono luogo di incontro e di dialogo, nonché di sviluppo di pensiero critico e razionale per la costruzione di una pace».

Una vecchia pratica

Il boicottaggio nei confronti dello stato ebraico non è una novità.

In Italia, ad esempio, alcune organizzazioni lo praticano dal 2005, dopo che un gruppo di attivisti palestinesi ha deciso di utilizzare e ha diffuso gli strumenti di lotta delle campagne degli anni Novanta contro l’apartheid in Sudafrica. E il boicottaggio non è solo di tipo economico, ma riguarda tutti i settori del sistema da attaccare, tra cui anche quello accademico.

Per la professoressa Baraggia però questa pratica è «sproporzionata, non giustificabile e senza senso perché l’insegnamento universitario si fonda sul dialogo con l’altro».

© Riproduzione riservata