Si fa un grande parlare di Palermo che è cambiata, che non è più prigioniera dei soliti padroni, Palermo liberata. C'è una retorica che nasconde i fatti, li distorce, li sotterra. Perché, in realtà, di Palermo ce ne sono due a trent'anni dalle stragi che hanno ucciso i giudici Falcone e Borsellino. Quella raccontata e quella reale, quella delle parole e delle sfilate e quell'altra dei “libri mastri”, la contabilità del racket, dei ragionieri del pizzo. Ci sono quartieri interi soffocati dalle estorsioni, tutti pagano e nessuno denuncia. E non è solo questione di paura. Pagando ci si assicura la vita per tutta la vita.
La ”mafia fa schifo” è uno slogan che piace ormai a tutti, anche agli stessi mafiosi che si travestono in esattori per ritirare la “mesata” o chiedere il saldo a Pasqua e a Natale.

Si è scoperto che a Brancaccio - rione orientale della città e terra di don Pino Puglisi, il parrocco ucciso nel 1993 per ordine dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano - versava la tassa anche un piccolo ambulante: 5 euro per esporre la sua merce in un mercato domenicale. Non importa quanto sia bassa o alta la tangente, importa che venga pagata. Il pizzo è il riconoscimento di una sovranità sul territorio, attraverso il pizzo la mafia di Palermo manifesta la sua esistenza e il suo potere.

Quaranta commercianti favoreggiatori

Nonostante le numerose operazioni delle forze di polizia degli ultimi anni, nel 2021 sono state accertate (e rappresentano naturalmente solo una piccola parte di quelle avvenute) 220 estorsioni. Solo sette gli imprenditori che hanno segnalato la richiesta di taglieggiamento.

Sempre a Brancaccio, 60 commercianti sono stati invitati in una caserma dei carabinieri e interrogati. In 20 hanno ammesso di avere subito il ricatto, gli altri 40 hanno negato e sono stati denunciati per favoreggiamento ai boss. Un silenzio che probabilmente li trascinerà a processo. Meglio una condanna che passare per traditori, questa è la mentalità.
All'inaugurazione dell'anno giudiziario, il presidente della Corte d'Appello palermitana Matteo Frasca, ha spiegato che di tanto in tanto si rintracciano indizi di una reazione «ma a macchia di leopardo». Nel quartiere intorno a Porta Nuova quindici costruttori si sono ribellati, fra Brancaccio e la borgata di Ciaculli neanche uno. A comandare in questa zona sono sempre gli stessi.

Si chiamano Greco, sono gli eredi di Michele detto “il papa“ e di Salvatore detto “il senatore“. In particolare il nuovo capo pare sia Giuseppe Greco, nipote di Michele e figlio di Salvatore. I Greco, generazione dopo generazione, sono i capimafia dei Ciaculli dal 1861, dall'Unità d'Italia.
L'immagine di una Palermo che ha voltato pagina dopo i delitti eccellenti e le stragi, non trova aderenza nella vita quotidiana. Palermo ha provato a cambiare, ha faticosamente iniziato un percorso di affrancamento (anche grazie all'opera di associazioni antiracket) ma sembra che negli ultimi tempi stia sprofondando nel suo passato, nelle borgate e nei palazzi della politica dove le elezioni comunali e regionali vengono ancora decise da personaggi condannati per reati di mafia.

Il welfare mafioso

E' sempre più evidente, semmai ce ne fosse bisogno, che la mafia non è una questione esclusivamente di repressione poliziesca o giudiziaria. Un modello di antimafia sociale in questi anni non ha portato ai risultati sperati, a volte anche un modello di stato non si è rivelato credibile.

Chi paga il pizzo non si sente sempre vessato, non si sente sempre vittima. Perché la “mesata” è considerata come la rata di un mutuo o un'imposta comunale, come la quota da trasferire a una società di servizi che può risolvere all'operatore commerciale qualsiasi problema. C'è promiscuità fra il ricattato e il ricattatore, spesso stringono rapporti di amicizia.

A Brancaccio un commerciante pagava il pizzo anche al cognato. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, alla mattina il parente sborsava l'obolo e alla sera il cognato carnefice era ospite a casa sua. La regola non ammette deroghe nemmeno in famiglia.
Durante il lungo lockdown causato dalla pandemia i clan hanno avuto una certa libertà d'azione. Ci sono cosche che hanno continuato a spremere i commercianti in difficoltà mentre altre cosche, più furbescamente, hanno sospeso il pizzo e addirittura aiutato i bottegai con sostegni economici.

E' il welfare mafioso. Il messaggio che trasporta è micidiale: noi non siamo contro la gente ma (al contrario dello stato) siamo al fianco della gente.

© Riproduzione riservata