Il 6 aprile, un contingente di 300 agenti della polizia penitenziaria è entrato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, padiglione Nilo, e ha trasformato una perquisizione in un pestaggio, generalizzato, dei detenuti.

Ci sono i video e le testimonianze, come abbiamo rivelato nei giorni scorsi, che provano il massacro. Ma cosa ha fatto il Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nei confronti dei responsabili di quella perquisizione? Quali provvedimenti ha assunto nei confronti della catena di comando che ha ordinato quella perquisizione straordinaria? 

Abbiamo chiesto spiegazioni a Francesco Basentini, allora capo del dipartimento e, oggi, magistrato alla Procura di Roma. «A memoria non ricordo se ho avviato un’indagine ispettiva sui fatti di Santa Maria Capua Vetere, non mi ricordo proprio, di solito per fatti analoghi l’ho sempre fatto», dice Basentini.

Il magistrato spiega che quando c’è un’indagine penale, il dipartimento per avviare una verifica interna chiede l’autorizzazione alla procura competente. L’ispezione inizia a seguito, quindi, di un via libera dell’autorità giudiziaria.

E a Santa Maria è iniziata questa verifica ispettiva? «Non lo ricordo», ribadisce Basentini che, però, cita altre vicende analoghe, nelle quali è intervenuto. L’ex capo del Dap ricorda il caso di San Gimignano quando ha fatto scattare le sanzioni disciplinari, ma anche quello di Torino.

«Ricordo molto più chiaramente quel caso, ci fu denuncia del garante locale, e a seguito del nulla osta concesso dall’autorità giudiziaria fu nominata la commissione ispettiva».

Torniamo al caso del carcere Francesco Uccella di Santa Maria. Dopo il 6 aprile tanti si mobilitano. Si muove il garante dei detenuti regionale, Samuele Ciambriello, quello nazionale Mauro Palma, la camera penale e l’associazione Antigone.

Quest’ultima invia il 16 aprile un’e-mail al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nella quale allega l’esposto riguardante i fatti di Santa Maria Capua Vetere. Il destinatario è il capo del dipartimento. 

All’interno dell’esposto ci sono le segnalazioni raccolte anche dal garante provinciale di Napoli, Pietro Ioia. Un esposto che viene corredato da foto, audio che denunciano pestaggi e violenze.

«La ricostruzione che verrà riportata nel presente esposto è stata realizzata sulla base delle segnalazioni pervenute via email o via Facebook, delle telefonate effettuate con familiari dei detenuti e con avvocati, delle immagini e degli audio ricevuti», inizia così la denuncia di Antigone.

Viene ricostruita la protesta dei detenuti per la diffusione della notizia di un contagiato nel reparto Tamigi, l’arrivo del magistrato di sorveglianza e poi l’ingresso degli agenti «suddivisi in gruppi di sette agenti, in tenuta “antisommossa” con il volto coperto da caschi e i guanti alle mani ed hanno posto in essere una seria e grave azione di violenza contro molti detenuti. Secondo la ricostruzione, alcuni agenti sarebbero entrati nelle celle e, cogliendo i detenuti di sorpresa, li avrebbero violentemente insultati e picchiati con schiaffi, pugni, calci e a colpi di manganello».

L’esposto, firmato dal presidente di Antigone Patrizio Gonnella, passa ad elencare gli orrori commessi e le conseguenze riportate dai detenuti: costole rotte, denti spaccati, traumi cronici, detenuti che non riuscivano ad alzarsi, altri che urinavano sangue.

Pestaggi che, oggi, trovano conferma nelle decine di frammenti video che sono agli atti del fascicolo giudiziario e che, grazie ad una testimonianza raccolta, abbiamo riportato nella loro crudeltà. Una galleria degli orrori che rappresenta una delle pagini più gravi della storia penitenziaria di questo paese.

«Ricordo l’esposto di Antigone sui fatti di Opera, poi probabilmente ne fece uno su Santa Maria, ma probabilmente non presi subito visione anche perché ad inizio maggio sono andato via. Non riesco a ricordare», conclude Basentini. L’ex capo del Dap, dimissionario dopo le polemiche seguite alla scarcerazione del boss Pasquale Zagaria, risponde alle domande, ma ribadisce di non ricordare se ha avviato o no un’indagine ispettiva.

«Dovrebbe chiedere al nuovo Dap, visto che io ho lasciato a inizio maggio». A quanto si apprende si è in attesa dell’indagine penale, al momento ferma all’unico atto notificato: il decreto di perquisizione dello scorso 11 giugno quando i carabinieri sequestrano i cellulari gli agenti indagati. Un fatto è certo, il personale, coinvolto nell’indagine, resta al suo posto anche se in realtà qualcosa ai protagonisti di quella giornata nera per lo stato italiano, è accaduto. Il comandante della polizia penitenziaria, Gaetano Manganelli, indagato nell’inchiesta della Procura, è stato trasferito al carcere di Secondigliano. Ma non è stato spostato per ragioni di opportunità, ma di carriera. Infatti, Manganelli aveva risposto ad un interpello, un concorso interno, circa due anni fa, per ricoprire un incarico nel carcere di Secondigliano. All’esito della procedura di mobilità per il conferimento di incarichi direttivi, Manganelli era risultato secondo. Il tribunale amministrativo si è espresso, lo scorso giugno, accogliendo il ricorso di Manganelli e ha dato il via libera al trasferimento. Oggi è comandante di reparto a Secondigliano.

«Io non posso parlarle, non sono autorizzato, sono sereno e ho fiducia nella magistratura», dice Manganelli. Ma perché quel giorno i detenuti furono pestati? «Non posso parlare, c’è un’indagine in corso, parli con il provveditorato».

Il provveditore regionale è Antonio Fullone, non presente il 6 aprile, ma indagato per aver disposto quella perquisizione insieme con i vertici dell’istituto, e inviato gli uomini, poi, protagonisti di quel pestaggio. Anche lui ha chiarito che non può parlare.

Analoga la posizione del ministro, Alfonso Bonafede, che aspetta l’esito dell’inchiesta, coperta da segreto, ma che è chiamato a rispondere, in parlamento, dopo la presentazione di tre interrogazioni parlamentari. In attesa dell’indagine, tra gli indagati, chi resta al suo posto, chi si aggiudica incarichi e i detenuti sono lì insieme agli agenti che quel giorno guardarono, nella migliore delle ipotesi, o parteciparono al brutale pestaggio.

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