Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno aperto, in gran segreto, un nuovo fronte di scontro. Oltre ai provvedimenti economici, alla lotta sulle regionali e sulle candidature per le europee, i leader di Fratelli d’Italia e quello della Lega stanno affilando le spade anche sulle nomine prossime venture dei servizi segreti italiani. Partita che si intreccia inevitabilmente con quella per la scelta del nuovo comandante generale dei carabinieri.

Le decisioni finali dovranno essere prese solo tra alcuni mesi, ma il braccio di ferro tra i due è iniziato da settimane. La guerra è combattuta per procura: i due usano ambasciatori ed emissari dentro e fuori il comparto per spingere le rispettive istanze e mettere i paletti alle candidature della controparte. Con un terzo incomodo che però non farà da spettatore, cioè il sottosegretario Alfredo Mantovano che ha la delega sull’intelligence e idee assai precise. E che qualche settimana ha già provato a sostituire Elisabetta Belloni (capa del Dis in scadenza nel 2025 che Meloni ha già pensato di spostare a Palazzo Chigi come consigliera diplomatica), con Bruno Valensise, attualmente numero due del dipartimento che coordina Aisi e Aise, rispettivamente le agenzie per la sicurezza interna e quella per l’estero.

L’ “operazione Belloni” per ora non è riuscita. Ma l’assalto della destra alle agenzie è stato solo rimandato. A fine aprile, infatti, scade il mandato di Mario Parente al comando dell’Aisi, oggi è la più rilevante in termini di potere e influenza. Parente conclude i suoi lunghi 8 anni con apprezzamenti trasversali: è stato nominato nell’aprile 2016, quando al governo c’era ancora Matteo Renzi e confermato, nel 2020, da Giuseppe Conte.

Per la successione il profilo naturale era quello di Vittorio Pisani, già numero due all’Aisi e da sempre sponsorizzato da Salvini, che però qualche mese fa con un colpo di mano l’ha voluto capo della polizia, sostituendo prima del tempo il bravo Lamberto Giannini, ora prefetto di Roma. Così la competizione, se sarà scelta una soluzione “interna” al comparto, è principalmente tra tre nomi: i due vice direttori Carlo De Donno e Giuseppe Del Deo, e Valensise.

Meloni per Del Deo

L’Aisi è il crocevia di interessi enormi. Anche perché è l’agenzia che gestisce le intercettazioni preventive per la pubblica sicurezza, un potere notevole che permette ai vertici di conoscere informazioni riservate anche in ambito economico e finanziario: la sicurezza nazionale oggi passa soprattutto da lì.

Ad ora Del Deo, che per anni è stato responsabile delle preventive guidando il nucleo economico-finanziario (Nef), è il nome più quotato dei tre interni in lizza. Palazzo Chigi lo stima, come dimostra la promozione a vicedirettore arrivata nel luglio dello scorso anno. Meloni ha un rapporto personale con lui. L’intesa è forte, nata quasi spontaneamente, tanto che riesce a essere ricevuto senza nemmeno passare per gli uffici di Mantovano. Se dipendesse solo da lei, la scelta sarebbe già fatta. In questo caso la premier ha trovato anche la sponda del ministro Guido Crosetto, che vede in Del Deo «un fuoriclasse». L’ex ufficiale dell’esercito passato anche dai carabinieri per pochi mesi vanta poi un buon rapporto con Belloni, che (se interpellata) darebbe il via libera senza resistenze. E c’è poi il placet di Parente, che lo spinge da anni.

Contro l’ascesa di Del Deo negli ultimi mesi è nato però un inedito asse Mantovano-Salvini. Il sottosegretario meloniano lo considera troppo giovane - ha 51 anni – ma soprattutto non gradisce un approccio che definisce ai suoi «troppo muscolare».

Ma arcinemico di Del Deo è innanzitutto Salvini. Che è rimasto scottato - risulta a Domani - da una vicenda di due anni fa. Quella della pubblicazione, da parte de La Verità, del contenuto di alcune intercettazioni preventive che l’Aisi ha fatto sul cellulare di Antonio Capuano, lo sconosciuto consulente che organizzò nel maggio 2022 l’incontro tra il leghista e l’ambasciatore russo in Italia Razov, vicenda svelata da Domani che provocò lo sconcerto del governo Draghi e persino degli alleati americani. Telefonate e informazioni che «mai» spiega ancora oggi Salvini «sarebbero dovute uscire dall’Aisi e finire sui quotidiani». Il capo del Carroccio non fa accuse dirette, ma vuole che il prossimo numero uno dell’agenzia non abbia alcun legame con la vecchia gestione.

Nell’entourage di FdI il nome di Del Deo resta però fortissimo. Con un’eccezione da non sottovalutare: qualcuno racconta infatti che il direttore del Tg1, Gian Marco Chiocci, quando parla con la premier delle nomine del comparto, suggerisce anche lui nomi alternativi. Nella battaglia c’è un altro profilo che ha qualche chance sulla carta: il pari grado di Del Deo Carlo De Donno, che è il candidato ideale di Mantovano, nonostante qualcuno lo indichi come troppo vicino a Salvini. Il sottosegretario è tra l’altro amico del procuratore di Brindisi, Antonio De Donno, che è fratello del generale. Il militare - finito nei mesi scorsi sulla Verità come conoscente della showgirl Lodovica Rogati - sembra però aver già declinato ogni ipotesi di promozione: in effetti va verso la pensione (ha quasi 65 anni), e dice a chi lo conosce bene di non aspettarsi più nulla dal servizi. Di sicuro De Donno non farà il tifo per Del Deo: i due non hanno (per usare un eufemismo) rapporti idilliaci da tempo. Mantovano spera dunque di convincere la premier a favorire il terzo incomodo, cioè Valensise, che considera uomo di fiducia e un “pacificatore” naturale. Un nome che forse sarebbe accettato anche da Salvini.

Cattive tentazioni

A Palazzo Chigi aleggia però una tentazione nascosta: oltre a Parente, alla fine naturale del mandato, qualcuno pensa di provare a fare cappotto e di conquistare anche le altre due agenzie. Una forzatura istituzionale tecnicamente possibile, un blitz con cui Meloni e la destra potrebbe no nominare fedelissimi anche all’Aise (oggi è guidata da Giovanni Caravelli), e al Dis di Belloni, che come già detto ha rischiato la poltrona qualche settimana fa.

La sostituzione multipla potrebbe poi agevolare la tenzone tra Meloni e Salvini: con più posti a disposizione da spartirsi, nessuno uscirebbe scontento. Ma l’azzardo è rischiosissimo, e i bookmakers di palazzo Chigi danno ad oggi la rivoluzione copernicana a quote stracciate. Soprattutto per l’Aise: Caravelli è stimato da Mantovano, ha aperto da poco un canale diretto con Meloni (non con Crosetto, i cui rapporti sono freddi) ed è stato confermato direttore nel 2022 per un quadriennio.

Sul Dis la questione resta più aperta: nonostante Meloni tranquillizzi una settimana sì e l’altra pure Belloni che le chiede conto dei tentativi di Mantovano di sostituirla (recentemente ha pensato per lei a un posto da consigliere di Stato, sedia che la diplomatica non accetterà mai) un nuovo direttore del Dis a maggio resta opzione poco plausibile, ma non impossibile. Dovesse assistere al trionfo di Del Deo, il sottosegretario farà di tutto per mettere il “suo” Valensise al dipartimento. «Sarebbe però disdicevole che una donna-premier rimuova un’altra donna in un ruolo così delicato», spiega a Domani chi nel Dis spera che Belloni prosegua nel suo mandato.

Scontro tra corpi

Infine, nella battaglia sui servizi c’è la variabile dei candidati esterni. Che si intreccia con il nodo della successione del comandante dell’Arma Teo Luzi, in scadenza a novembre. Al suo posto scalpitano il capo di stato maggiore, Mario Cinque, i generali Riccardo Galletta e il giovane (forse troppo) Marco Minicucci. In pole molti danno però Salvatore Luongo, per anni capo dell’ufficio legislativo alla Difesa e ora comandante interregionale Podgora. Molto stimato da Crosetto, non dovesse essere lui il successore di Luzi, potrebbe essere un candidato forte e imprevisto per il dopo Parente. Meno possibilità invece hanno altri “esterni”. Come il finanziere Umberto Sirico, in cerca di riscatto dopo aver perso la battaglia per la nomina a comandante generale della guardia di finanza. E come il prefetto Vittorio Rizzi, vice di Pisani nella polizia, corpo che rischia di rimanere anche a questo giro senza suoi “rappresentanti” ai vertici dei servizi. Quest’ultimo è considerato uno dei dirigenti più capaci per l’alto incarico, ma considerato politicamente troppo lontano sia da Meloni sia da Salvini. E di questi tempi senza un loro via libera è improbabile ottenere poltrone prestigiose.

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