La riduzione dell’aliquota per il ceto medio chiesta da Forza Italia viene spostata almeno al 2025. Tajani boccia l’ipotesi del golden power per l’operazione Unicredit-Bpm: «Non ci sono stranieri»
Più che una manovra sembra un decreto Milleproroghe. Le misure vengono rimandate a data da destinarsi. A cominciare da quelle più importanti come il feticcio propagandistico del taglio delle tasse al ceto medio, con la riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35 al 33 per cento. Nella migliore delle ipotesi slitta all’anno prossimo tra fine gennaio-inizio febbraio. Servirà un provvedimento ad hoc, che lascia presagire un’entrata a regime in primavera. E tanto basta a mandare su tutte le furie Forza Italia.
Dopo aver battuto i pugni sul tavolo, gli azzurri non sono riusciti a portare a casa niente di concreto. Il segretario di FI e vicepremier, Antonio Tajani, ha chiesto ai suoi deputati per cercare di usare ogni spazio di risorse a disposizione per dare un segnale sull’abbassamento delle tasse. «Un punto su cui questa manovra è deludente», ammette un deputato di FI che sta seguendo da vicino l’iter del provvedimento. Di riduzione delle tasse, in effetti, non c’è traccia alcuna. Nel mirino sono finiti i 400 milioni di euro che il governo voleva piazzare per ridurre il canone Rai da 90 a 70 euro come preteso dalla Lega nel decreto fiscale. Insomma, qualche spicciolo nelle pieghe del bilancio potrebbe essere recuperato.
Dal governo non lasciano spazi di trattativa: prima bisognerà fare i conti sull’esito del concordato preventivo, in chiusura il 12 dicembre. «Mancano i tempi tecnici per mettere quelle risorse in un emendamento della manovra», è la versione che offrono dal Mef.
Difficile pensare a un intervento così imponente con un emendamento. E non c’è alcuna intenzione di fare un provvedimento “a puntate”, con un primo intervento sull’Irpef nella legge di Bilancio e poi un successivo decreto per investire il resto. Da Forza Italia non arretrano: «Vedremo», è la posizione assunta a pochi giorni dall’inizio delle votazioni. Solo che, se da via XX Settembre pongono il veto, non ci sono speranze per il partito di Tajani.
Il ministro degli Esteri, comunque, ha già messo in chiaro che sull’operazione Unicredit-Bpm non vuole allinearsi alla posizione del governo, già espressa da Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni, sul possibile impiego del golden power: «Non ci sono operazioni di stranieri, in questo momento non credo che si possa applicare»
Flat tax e sanatoria
Sul fronte delle tasse la delusione nel governo riguarda un po’ tutti. La battaglia della Lega di Salvini sulla flat tax per gli autonomi resterà lettera morta: non si può elevare la soglia dei beneficiari sopra gli 85mila euro. «Ci sono dei vincoli europei da rispettare», ribattono dal governo. Nulla di nuovo.
Insomma, si potrà fare un maquillage per rivendersi un mini ampliamento. Ma addio sogni di tassa piatta in versione extralarge (fino a 100mila euro come vagheggiato dai leghisti). In questa manovra si predispongono rinvii, non si scrivono misure. Involontariamente lo ammette addirittura il capogruppo dei leghisti alla Camera, Riccardo Molinari: «Vogliamo rilanciare il tema della rottamazione quinquies», ha detto. Una volta era la legge di Bilancio a decidere la politica economica e fiscale. Adesso se ne parla dopo.
Non si parla di tasse, ma di eventuali investimenti sul capitolo automotive dove si registra una partita di giro. Alla fine resta un taglio cospicuo. Il governo ha tolto al comparto oltre 4,5 miliardi di euro e ora il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, annuncia un nuovo stanziamento complessivo di 250 milioni di euro (a cui si aggiungono 500 milioni di euro nell’ambito del Pnrr). «Le risorse saranno rivolte tutte a supportare le imprese», ha detto Urso confermando che non saranno previsti incentivi.
Giorgetti ridimensionato
Una delle poche cose concrete in agenda nella legge di Bilancio è la cancellazione di una norma voluta dal ministro dell’Economia Giorgetti: la presenza di un rappresentante del Mef nel collegio sindacale di enti e società beneficiarie di finanziamenti pubblici. La norma era invisa a quasi tutta la maggioranza, che inizialmente ha abbozzato una difesa d’ufficio.
La soluzione individuata, secondo quanto apprende Domani, è un incremento delle sanzioni per chi sperpera le risorse arrivate dalle casse statali. Salta dunque la legge in versione «sovietica», secondo la definizione di Tajani. Una magra consolazione per i forzisti. Per Giorgetti un altro stop in arrivo riguarda l’aumento della tassazione sulle plusvalenze relative alle criptovalute: nella versione originale l’aliquota è stata portata al 42 per cento, nella maggioranza puntano a riportarla al 26 per cento. Un gioco a rimpiattino: le tasse vengono aumentate sulla carta e poi portate al punto di partenza. Rivendendosi l’operazione come taglio. Di buone notizie per il governo ce ne sono poche. Pure il timing indicato, come prevedibile, è già stato sottoposto a una revisione. L’obiettivo era quello di un iter ordinato a Montecitorio: da lunedì 9 dicembre dovevano partire le votazioni in commissione Bilancio degli emendamenti per chiuderle entro il venerdì, evitando le sedute di voti notturni nel fine settimane. L’intento era di spedire il testo in aula lunedì 16 dicembre per approvarlo entro il 20 dicembre.
Tra i vari incastri di calendari, ha preso forma un ritardo: si vota da mercoledì 11 dicembre e si prevedono i soliti tour de force. Al Senato, del resto, i più avveduti avevano consigliato di non eccedere nell’ottimismo sulla tempistica. Non solo gli interventi sulle tasse, insomma: con questa legge di Bilancio slitta tutto.
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