Stretti tra le scadenze elettorali del referendum e delle elezioni regionali, i decreti sicurezza tornano nell’agenda politica del governo. Gli sbarchi, infatti, si sono intensificati, con l’arrivo a Lampedusa di circa 450 migranti il 30 agosto e di altri 1000 nel corso dei giorni precedenti. L’emergenza Covid ne ha reso più difficile la gestione, tanto da provocare lo scontro tra il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, e il ministero dell’Interno.

La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha detto in un’intervista a Repubblica che il nuovo decreto immigrazione “è pronto, è già stato trasmesso a palazzo Chigi ed è il frutto di un tavolo con le forze di maggioranza che ho coordinato qui al Viminale”. Il testo recepisce le osservazioni formulate dalla presidenza della Repubblica in sede di promulgazione dei decreti sicurezza che riguardavano l’irragionevolezza delle sanzioni amministrative, con multe milionarie alle navi delle ong  e il sequestro obbligatorio dell’imbarcazione, e delle norme sull’oltraggio a pubblico ufficiale. Inoltre modifica il sistema di accoglienza prevedendo che i richiedenti asilo “entrino in un circuito identico a chi è sottoposto a protezione internazionale” e vengano accolti in centri gestiti dai comuni. Tuttavia, il decreto rischia di rimanere fermo in un cassetto di palazzo Chigi almeno fino a ottobre. A bloccarlo sono sia la contingenza politica che i contrasti sotterranei interni ai partiti della maggioranza di governo.

Eppure, senza una chiara linea politica sulla concessione dei porti di sbarco alle navi delle ong e sulla ripartizione regionale dei migranti, la gestione tecnica fino a ora portata avanti dal Viminale potrebbe non bastare più. Fino ad ora, infatti, il ministero si è limitato a inviare navi per la sorveglianza sanitaria dei migranti e per trasferirli poi a terra. A mancare, però, è la decisione politica di come regolamentare il flusso, in particolare per alleggerire la pressione sulla Sicilia con trasferimenti in altre regioni.

Dal punto di vista politico, poi, il governo di Giuseppe Conte è immobile. La paura è che un intervento su un tema divisivo come l’immigrazione possa avere conseguenze negative sulle elezioni regionali del 20 e 21 settembre, penalizzando i candidati del centrosinistra. La Lega, infatti, è tornata a cavalcare il tema. Il leader, Matteo Salvini, in un tweet ha ribadito che “c'è un’unica cosa da fare: chiudere i porti", e che “quando torneremo al governo, con la Lega e tutto il centrodestra, vi posso assicurare che i confini saranno blindati”. Lo stesso ha fatto la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: "Invece di bloccare una volta per tutte l'immigrazione clandestina il governo continua a varare navi per la quarantena dei migranti, il tutto a spese degli italiani. Esattamente quante altre navi da affittare serviranno per far capire loro quanto sia folle affrontare così la gestione dei flussi migratori? Basta sbarchi, basta morti in mare".

A indebolire il governo, inoltre, sono anche le differenze all’interno della maggioranza. Nel Movimento 5 stelle prevale l’area che fa riferimento al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che punta a rinviare il più a lungo possibile la modifica dei decreti. "Siamo contrari alla cancellazione delle norme approvate insieme alla Lega, perché sarebbe come sconfessare il lavoro fatto nel nostro precedente governo”, dice un deputato grillino. Lo stesso Di Maio, in un’intervista ha detto che “sui decreti sicurezza c'è un accordo per recepire le osservazioni del presidente della Repubblica”, ma ha frenato su altri interventi per paura di “creare un effetto illusorio per i migranti. Devono capire che nessuno sta parlando di riformare la disciplina della cittadinanza o dei permessi di soggiorno".
L’”ala sinistra” del Movimento che fa riferimento al presidente della Camera, Roberto Fico, invece, durante il governo Conte I aveva espresso le sue perplessità sui contenuti dei decreti sicurezza e, con il cambio di esecutivo, si è sempre mostrata pronta a  modificarli. “Credo che i decreti sicurezza, dopo anche i rilievi della Corte costituzionale e la lettera del presidente della Repubblica, vadano modificati”, ha detto Fico, ammettendo che “questo è uno dei tanti casi in cui non andavano fatti decreti” perché “quando si parla di tematiche così complesse come l'immigrazione i decreti possono polarizzare lo scontro”. Tuttavia, una parte dei parlamentari considerati vicini alla linea di Fico in tema di poltiche migratorie, ad esempio Paola Nugnes e Gregorio De Falco, sono stati espulsi dal Movimento.

Anche il Partito democratico non ha una posizione univoca. Se nel 2018 aveva fatto una durissima opposizione ai decreti firmati dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, una volta arrivato al governo ha dovuto scendere a patti con i Cinque stelle e accettare una revisione dei decreti sicurezza invece che una loro totale riscrittura. Per mesi l’unico a ribadire la necessità di cancellarli è stato il deputato di minoranza, Matteo Orfini, che ha criticato il rinvio a dopo l’estate del decreto immigrazione. "Ancora una volta si sceglie di non decidere e le leggi di Salvini sono ancora lì. Con in più lo schiaffo di membri del governo che ne usano parole e argomenti, è il caso ad esempio Luigi Di Maio", ha detto Orfini a fine luglio. Lo stesso Orfini ha più volte attaccato il suo stesso partito, parlando di “fallimento di una strategia di gestione dei flussi migratori concepita dal governo Gentiloni con Marco Minniti ministro dell’Interno e proseguita con il Conte 1 e il Conte 2”.

Il 30 agosto il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, è intervenuto sull’attuale situazione in Sicilia e si è rivolto al premier Conte e agli alleati dicendo che “quanto sta avvenendo nel Mediterraneo dimostra che i decreti Salvini non servono a niente. Sono mesi che diciamo che vanno cambiati: se i nostri alleati ci avessero dato retta, staremmo meglio. Ora, però, per favore, sbrighiamoci”. Tuttavia, a frenare il Pd sono i suoi stessi amministratori locali, soprattutto quelli coinvolti nella campagna elettorale per le regionali. Il sindaco di Lampedusa ed ex Pd, Totò Martello, ha attaccato il governo, denunciando il mancato intervento statale per affrontare l’emergenza in corso sull’isola: “Ci vuole il ministro degli Esteri, deve intervenire il Presidente del Consiglio. Il ministro Lamorgese sta facendo tutto quello che è in suo potere ma il Governi non pare sostenerla”. Nessuno lo dice espressamente, ma il timore è che intervenire sui decreti sicurezza prima del voto significhi regalare un’arma in più agli avversari. E questo va evitato, anche a costo di lasciare isolata la ministra Lamorgese.

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