«Il nostro è uno stato laico, non è uno stato confessionale. Quindi il parlamento è certamente libero di legiferare e di discutere: sono considerazioni ovvie, queste». Quando ieri Mario Draghi, tra gli applausi, ha pronunciato queste parole nell’aula del Senato, in molti hanno percepito un cambio di registro rispetto all’oratoria gesuitica a cui il premier ci ha abituati. Quasi un filo di irritazione. E forse era proprio questo che il presidente del Consiglio voleva trasmettere.

Perché la nota verbale con cui il Vaticano ha rimesso in discussione, in evidente ritardo, l’impianto della legge Zan contro l’omotransfobia arrivando fino a ipotizzare una possibile violazione del Concordato, non è solo un problema interno alla maggioranza che sostiene l’esecutivo. È soprattutto una piccola crepa in un rapporto, quello tra palazzo Chigi e la chiesa cattolica, che ai più sembrava fin troppo solido.

Talmente solido da far pensare che prima della pasticciata consegna “informale” all’ambasciatore d’Italia presso la Santa sede, la nota verbale fosse in qualche modo stata anticipata al premier. Invece, nonostante tutti (a cominciare da papa Francesco, che non può non avere dato il suo assenso) sapessero cosa stava succedendo, nessuno si sarebbe premurato di avvisare Draghi. E questa a suo modo, anche alla luce di quanto accaduto da febbraio a oggi, è una piccola ma tutt’altro che irrilevante novità. Non è un segreto che dopo la fine prematura dell’esperienza gialloverde una parte significativa delle gerarchie ecclesiastiche, anche per contenere l’avanzata di Matteo Salvini, abbia sostenuto con convinzione la nascita del Conte bis. E avrebbe anche discretamente auspicato che da quell’esperienza nascesse un Conte ter.

Da Giuseppi a Mario

Ma poi è arrivato Draghi. Cattolico, formazione studentesca presso l’istituto Massimiliano Massimo dei gesuiti di Roma, un applaudito discorso programmatico pronunciato in tempi non sospetti davanti alla platea del Meeting di Rimini, membro della Pontificia accademia delle scienze sociali nominato da Francesco e con in mano una laurea honoris causa dell’Università Cattolica. Oltretevere il passaggio da Conte a Draghi è stato repentino, ma quasi naturale. E lui non si è certo sottratto alle aspettative aggiungendo a un curriculum stellare anche la frequentazione delle messe domenicali, ampiamente rendicontata da stampa e fotografi. Anche nel suo discorso in parlamento per il voto di fiducia non erano mancati messaggi verso il Vaticano e citazioni di temi e parole care al mondo cattolico. Eppure se da un lato il mondo cattolico sembrava guardare con fin troppa speranza all’uomo venuto dalla Bce, c’era chi, in quel coro unanime di consenso, non rinunciava a un accento critico.

Il 10 febbraio, su Famiglia cristiana, l’economista Luigino Bruni, «uno degli studiosi più ascoltati dal papa», così commentava: «Mi sorprende quest’esultanza di tanti cattolici per l’avvento di Mario Draghi al governo. Certo, si è parlato dei suoi studi dai gesuiti, della sua partecipazione ai riti della parrocchia romana di San Bellarmino, della laurea honoris causa all’Università Cattolica, della conferenza al Meeting di Rimini di Comunione e liberazione, dell’appartenenza alla Pontificia accademia delle scienze.

Tutto questo può essere incoraggiante ma non lo rende automaticamente un protagonista e un fautore del cattolicesimo sociale. Anche perché ci sono altri aspetti della sua carriera che fanno pensare che possa andare in direzione diversa, se non opposta». Il titolo di quell’intervista, letto oggi, sembra fin troppo profetico: «La beatificazione di Mario Draghi è rimandata alla prova dei fatti».

Lo sgarbo

Ovviamente non sarà una nota verbale malamente recapitata a mettere in crisi i rapporti tra Vaticano e palazzo Chigi. Basti pensare che, poco più di un mese fa, il premier e il papa avevano anche condiviso il palco degli Stati generali della natalità mostrando, ancora una volta, una certa sintonia.

Per ora il rischio principale, cioè che la posizione della chiesa potesse provocare una polemica interna alla maggioranza, sembra in parte scongiurato. Sia nella Lega sia nel Pd sembra prevalere il senso di responsabilità. Draghi ha ribadito che l’intera vicenda verrà gestita dal parlamento. I problemi, se ci sono, sembrano più interni alla chiesa di Francesco che alla maggioranza. Lo stato è e resta laico. Il governo non è a rischio. Ma come recitava un vecchio claim, a volte una telefonata può allungarne la vita.

 

© Riproduzione riservata