Il portavoce del premier Giuseppe Conte, Rocco Casalino, di solito è molto solerte nelle smentite ufficiali di qualsiasi voce non direttamente divulgata da lui. Invece, ieri è rimasto in silenzio di fronte a un’ipotesi che avrebbe del clamoroso: il presidente del Consiglio avrebbe chiesto a quello della Repubblica, Sergio Mattarella, di farsi rieleggere per un altro anno, dopo la fine del suo mandato nel 2022, il tempo di permettere alla caotica politica attuale di rimettere a posto il tabellone di gioco. A renderla nota è stato il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari.

Lui e Conte avrebbero avuto una lunga conversazione telefonica e – tra una discussione sulla fugacità della vita e una sulle le virtù di papa Francesco – Scalfari ha raccontato di un premier «che vorrebbe che Mattarella prolungasse di almeno un anno la sua funzione, ma Mattarella a chi gli domanda di fare come il suo predecessore risponde negativamente».

Che il Colle non apprezzi lo scenario e anzi ogni allusione all’ipotesi provochi irritazione, tuttavia, è cosa nota: Conte aveva adombrato l’ipotesi, pur in termini meno espliciti, già in settembre e dal Quirinale era filtrato un evidente fastidio. Mattarella, del resto, non ha mai apprezzato strumentalizzazioni del suo ruolo di garanzia istituzionale e non ha lasciato margini alla possibilità di prendere in considerazione l’ipotesi di un nuovo mandato, per ragioni di coscienza ancor prima che di opportunità costituzionale.

Un anno in più

Eppure Conte sembra credere nelle sue capacità di persuasione e lo scenario a cui sta lavorando prevede che Mattarella segua le orme del predecessore, Giorgio Napolitano che dopo il suo settennato ha risolto l’impasse politica del 2013 assumendo un nuovo il mandato. Poi, allo stesso Scalfari ha concesso una lunga intervista in cui ha detto di essere stato «quasi costretto ad accettare la candidatura a una rielezione» e ha spiegato che «abbiamo vissuto un momento terribile. Ho detto di sì per senso delle istituzioni». Le sue dimissioni questa volta irrevocabili sono arrivate il 15 gennaio 2015, non prima di aver gestito la crisi del passaggio di consegne dal governo di Enrico Letta a quello di Matteo Renzi.

Quella che sembrava un’irritualità figlia dei tumulti politici, oggi è una soluzione che alletterebbe Conte. Napolitano ha accettato di proseguire il suo mandato perché il paese non avrebbe potuto permettersi un presidente inesperto e appena insediato a gestire la crisi politica. Mattarella potrebbe essere persuaso a fare lo stesso, accettando di traghettare il paese oltre i flutti del maggior cambiamento politico della storia repubblicana: il taglio dei parlamentari.

Il nodo politico è questo: il mandato di Mattarella scadrà nel 2022 e quindi, se la legislatura reggerà, il nuovo presidente della Repubblica verrà eletto dal parlamento tutt’ora in carica e a ranghi completi. Nel 2023, però, il nuovo parlamento conterà il 36 per cento di eletti in meno. Dal punto di vista costituzionale, nulla da eccepire. Politicamente, invece, si produrrebbe uno scarto di legittimazione: il capo dello Stato in carica per i successivi sei anni sarebbe stato eletto da un’assemblea dai connotati completamente diversi rispetto a quella prodotta dal voto politico. Di qui la suggestione di Conte: chiedere a Mattarella di prestarsi a una ricandidatura, in modo da allineare la nuova elezione del Colle con la nuova legislatura a parlamento ridimensionato. Per farlo, il premier potrebbe usare una motivazione a cui il presidente è molto sensibile: la responsabilità istituzionale. Eppure, chi trarrebbe maggiore giovamento politico immediato sarebbe il premier.

Il punto debole

Se Conte ispirasse una mossa di questo tipo, si modificherebbero gli equilibri all’interno della maggioranza. Buona parte della narrazione politica degli ultimi mesi sulla tenuta del governo ha riguardato proprio l’elezione del presidente della Repubblica: il governo Pd-Cinque stelle doveva reggere, perché con una crisi e nuove elezioni avrebbero lasciato la scelta del Quirinale in mano ai sovranisti di Matteo Salvini, che secondo i sondaggi galoppavano verso il 50 per cento dei consensi nel paese.

Ora, invece, Conte potrebbe decidere di scommettere su un nuovo scenario, mettendo sul piatto del futuro esecutivo anche la responsabilità del primo presidente della Repubblica eletto a ranghi ridotti. Con risvolti personali per lo stesso premier. I rapporti di forza politica stanno cambiando: la Lega ha subito un duro stop alle elezioni regionali; il Movimento 5 Stelle è sempre più in crisi di consensi e rischia di implodere se non trova presto una guida politica. Così quando finirà la legislatura nel 2023 il panorama politico rischia di essere sostanzialmente diverso dalle previsioni attuali. E l’incognita maggiore è proprio Conte: ormai non è più una meteora politica, il suo gradimento personale è altissimo e i sondaggi danno un suo ipotetico movimento intorno al 10 per cento. Se la politica è davvero l’arte di immaginare il futuro, Conte potrebbe provare a cambiare di nuovo pelle: da premier per tutte le stagioni a leader di un partito personale, che diventerebbe sia l’ago della bilancia politico che il miglior profilo per la presidenza della Repubblica per il futuro settennato. Il disegno ha una sua coerenza, ma anche un punto debole. L’accordo per la rielezione di Mattarella dovrebbe necessariamente passare per i partiti della sua maggioranza, i cui parlamentari voteranno il nuovo inquilino del Colle. E l’opera di persuasione sarebbe difficile soprattutto sul fronte dei Cinque stelle. Il Movimento arranca vistosamente, i sondaggi lo danno fermo al 16 per cento e, con questi dati e il taglio dei parlamentari da loro promosso, su 339 eletti ne torneranno in parlamento forse una centinaio. Dunque i grillini si guarderanno bene dallo spianare la strada alle velleità individuali di Conte, che su di loro ha costruito la sua fortuna e ora vuole capitalizzarla fuori dal Movimento.

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