Definire il ruolo del ministro degli Esteri oggi rappresenta un argomento sfuggente ma reale. Si dice che da quando i leader si parlano direttamente per cellulare e per sms, la funzione dei ministri degli Esteri abbia perso valore e utilità. Nulla è più fuorviante. I leader si sono sempre parlati faccia a faccia nei momenti in cui c’era da prendere decisioni cruciali, anche se la loro frequentazione diretta era meno frequente e i mezzi di comunicazione più antiquati.

Ieri come oggi i ministri degli Esteri servono come attori d’avanscoperta per testare (talvolta delicatamente, talvolta in maniera più decisa) la volontà della controparte, prima che i leader trovino un compromesso accettabile.

Basta rileggersi i verbali degli incontri della conferenza di Yalta (febbraio 1945) per comprendere che spesso i tre grandi (Franklin Delano Roosevelt, Iosif Stalin e Winston Churchill) lasciavano ai loro ministri di dirimere dettagli essenziali su questioni delicate, prima di vedersi tra loro e decidere, spesso in modo difforme da quello che i loro rispettivi ministri avevano proposto.

Ildestinodiunministroinutile: Tajani

Il caso americano

Molto dipende dalla tradizione istituzionale del paese: gli americani utilizzano spesso gli inviati o rappresentanti ufficiali del presidente che superano le competenze dello stesso segretario di Stato. Talvolta esiste l’impatto di un vero duplicato, come il consigliere della Sicurezza nazionale che può diventare una specie di superministro come fu il caso di Henry Kissinger, uno dei modelli insuperati di consigliere e poi Segretario di stato.

In maniera inusuale oggi Marco Rubio riveste le due cariche contemporaneamente, ma sono gli inviati personali di Donald Trump a negoziare con Russia e Israele (Steve Witkoff e Keith Kellogg). Per l’Africa, Trump si affida al consuocero Massad Bulos. Negli Usa molto dipende dalla personalità del Segretario di stato: di alcuni non si ricorda nemmeno il nome. Lo stesso di può dire per Urss/Russia che ha una tradizione di ministri di eccellenza fin dall’epoca zarista.

Sudglobaleecooperazione

Ministro e ministero

È il caso di Sergej Lavrov, considerato uno dei migliori ministri degli Esteri della nostra epoca, con un’ampia libertà di azione, almeno fino allo scoppiare della guerra in Ucraina, quando la realtà militare ha preso il sopravvento.

In Italia la questione si divide in “ministro e ministero”. Secondo la nostra tradizione diplomatica (simile a quella di altri paesi come la Francia ad esempio) il ministro dà la direzione politica attraverso il suo capo di gabinetto, ma il ministero – nel senso della macchina diplomatica – è gestito quotidianamente dal segretario generale. Dalla buona relazione tra le due figure, e dall’equilibrio delle due mansioni, dipende il corretto funzionamento dello strumento diplomatico.

Tant’è vero che Benito Mussolini (ministro degli Esteri ad interim dal 1922 al 1929; poi dal 1932 al 1936; poi nel 1943 fino al 25 luglio) soppresse il ruolo del segretario generale e condusse la politica estera attraverso il capo di gabinetto. Lo stesso Galeazzo Ciano fu un ministro (1936-1943) con una certa autonomia fino all’alleanza con la Germania nazista: con la guerra le cose cambiarono radicalmente.

Tale questione diarchica esiste anche al vertice: la politica estera italiana repubblicana è responsabilità congiunta del presidente del Consiglio e del ministro degli Affari esteri che deve attuarla, rappresentarla all’estero e assicurarne la coerenza.

Giulio Andreotti fu un ministro autorevole anche con Bettino Craxi presidente che faceva un’importante politica estera. I vari vertici internazionali vedono spesso i leader confrontarsi direttamente ma non va dimenticato che tutto il lavoro di preparazione (così come quello successivo di attuazione delle decisioni) è svolto dal ministero degli Esteri e dai diplomatici.

Una rete nel governo

Non a caso la presidenza del Consiglio e molti ministri del gabinetto hanno presso di sé dei consiglieri diplomatici che appartengono alla Farnesina: si può dire che il ministero degli Esteri ha una rete che innerva tutto il governo.

Tale funzione gli è peculiare e soltanto alla rappresentanza diplomatica presso l’Ue troviamo una simile presenza da parte di altri ministeri, vista la pluralità di materie che si trattano a Bruxelles.

Il ministero degli Esteri è dunque una macchina essenziale per il funzionamento del governo nel suo complesso e il ministro gli è a capo, seguendo e coordinando tutto ciò che fanno i diplomatici nel mondo e presso il resto dell’esecutivo. A ogni vertice vediamo il capo del nostro governo accompagnato dai diplomatici che lo assistono, così come nel caso dei viaggi del presidente della Repubblica che deve essere sempre seguito da un membro di governo.

Oltre il visibile

La Farnesina ha compiti che vanno ben oltre ciò che si vede e non solo per il lavoro puramente diplomatico delle relazioni con gli altri stati, che può avvenire in maniera discreta e confidenziale, ma soprattutto per la massa di riunioni del sistema multilaterale che (funzioni bene o no) occupano molto del tempo delle strutture del ministero degli esteri e producono un lavoro continuo.

I ministri degli Esteri parlano tra loro continuamente preparando ciò che si diranno i leader. La pubblica opinione vede poco di ciò che fa il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) perché i risultati e l’impatto sono mediati dalle strutture tecniche operative del complicato universo delle organizzazioni internazionali.

Non si deve pensare solo a quelle “politiche” (come il palazzo di Vetro dell’Onu a New York, la Fao, l’Oms, l’Alto commissariato dei rifugiati ecc.) ma soprattutto a quelle tecniche-operative e finanziarie di cui non si conoscono nemmeno i nomi e che regolano la vita internazionale.

Di conseguenza il ruolo del ministro degli Affari esteri è complesso anche quando non appariscente: appena viene nominato la sua agenda è già per metà occupata da tutte le riunioni a cui obbligatoriamente deve assistere. Ci sono poi le relazioni bilaterali e le missioni di sistema con le imprese.

Falcoebellicista

Valorizzare tutto

Oggi il Maeci ha introiettato il commercio con l’estero (una volta un ministero a sé) e quindi ha la responsabilità politica del buon andamento delle nostre esportazioni e della capacità italiana di penetrazione economica all’estero.

In televisione il ministro appare solo per poche ragioni: emergenze e aiuti umanitarisi pensi solo all’infinita trattativa di Antonio Tajani con gli israeliani per far uscire feriti da Gaza: l’Italia è il paese che ne accoglie di più); liberazioni di rapiti e ostaggi (si pensi alle relazioni con l’Iran che fruttarono la liberazione di Cecilia Sala); riunioni a Bruxelles del Consiglio dei ministri e viaggi all’estero; guerre. Ma in realtà il lavoro di rappresentanza italiana nel mondo è svolto dal ministro e dai diplomatici in modo permanente.

La presidenza del Consiglio non avrebbe gli strumenti operativi per portare avanti le decisioni prese dai leader a livello globale (non abbiamo un National security council e il Consiglio superiore di difesa è un organo diverso). In un paese così articolato come il nostro, all’elaborazione della politica estera italiana contribuiscono anche molti altri soggetti, istituzionali e non istituzionali (si pensi alle mediazioni della Comunità di Sant’Egidio), della società civile, delle autonomie locali, dell’accademia e delle imprese. L’abilità del ministro degli Esteri è valorizzare tutto questo e trarne vantaggio per l’Italia.

© Riproduzione riservata