Torna Umberto Bossi, nonostante la malattia, il tempo implacabile e soprattutto la diffida della Lega a usarne il simbolo. Torna Bossi e fa sognare vecchi sogni passati. C’è del nuovo ma soprattutto dell’antico per la Lega, nel Castello di Giovenzano in provincia di Pavia dove sabato si sono riuniti i dissidenti leghisti chiamati dal senatùr, il padre fondatore ma anche il padre del Trota, acciaccato nel fisico ma indomito nello spirito.

Il nuovo è che è una delle prime volte in cui Matteo Salvini è contestato apertamente, fino al punto che dal palco c’è chi dice «toglietegli TikTok, non ne posso più di vedere uno della sua età che fa così il coglione». Di antico c’è il resto: il rimpianto della Lega Nord, il tripudio di bandiere verdi, i fazzoletti al collo, il gazebo all’esterno con scritto «Comitato Nord» a caratteri cubitali. Partono cori «Bossi, Bossi», all’arrivo dell’anziano leader, accolto da un migliaio di reduci e combattenti, tutti in piedi, e ancora «libertà», e «Padania Libera».

Erano annunciati big, in realtà si presentano per lo più vecchie glorie rottamate dalla nuova stagione, come gli ex ministri Roberto Castelli e Francesco Speroni, e Giuseppe Leoni, ex senatore e leader dei «cattolici padani», uno dei primi a criticare Salvini.

Anche se viene negato, qualcosa avrà contato anche la diffida, anche se per gli organizzatori non vale: «Si rivolge al Comitato come associazione e noi non siamo un’associazione. La diffida ci chiedeva partita Iva e sede legale e noi non abbiamo né l’una né l’altra. Quindi, è una diffida che non ha costrutto e alla quale non è stata data risposta. Non abbiamo mai usato il simbolo della Lega».

Mal di pancia e Voltaren

Senza tetto, senza simboli, senza neanche partita Iva, ma con tanta rabbia. «C’è un malessere dei militanti», spiega Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega e coordinatore del Comitato Nord insieme all’ex deputato Paolo Grimoldi. «Se al nord abbiamo dimezzato i consensi è perché c’è un malessere. Bossi mette in campo il Comitato Nord che è la cura della Lega, è il “Voltaren” per fare in modo che la Lega si riposizioni dove è nata, al nord». Mille adesioni dichiarate, obiettivo cinquemila, «un passo alla volta».

L’anziano leader, affaticato dall’ultimo ricovero ma lucido, è la star. Prova ad attenuare l’impatto del raduno su Salvini, che però è pesantissimo. E si capirà forse già domenica al congresso della Lega di Varese, fin qui coperta e allineata con il “capo” Salvini. «Abbiamo solo la volontà di fare del bene alla Lega. Non vogliamo mettere al muro nessuno», spiega, bontà sua. «Siamo qui per rinnovare la Lega, non per distruggerla perché altrimenti faremmo solo un piacere al centralismo romano. Ma tanta gente, nostri militanti, mi sta chiedendo da tempo “Bossi, fai qualcosa”. E non potevamo stare fermi».

E così è partito il reclutamento dei contestatori. «Abbiamo dato vita al Comitato del Nord perché è arrivato il momento di alzarsi in piedi». Il problema, spiega, non sono solo i «risultati negativi» delle politiche del 25 settembre, il problema è l’abbandono dello spirito fondativo: «Negli anni abbiamo visto cancellare l’identità della Lega e se cancelli l’identità, muori. Serve un’identità forte e chiara».

Male, per Bossi, anche il conflitto fra Salvini e il potente e popolare presidente Luca Zaia: «Noi lombardi siamo fratelli dei veneti. Ai fratelli veneti si tende addirittura a perseguitarli e questo non è accettabile».

I fratelli veneti

La citazione del conflitto fra Salvini e Zaia è piccante. Perché la guerra per bande che il capo della Lega conduce rischia di fare da acceleratore al disastro. La candidata presidente alla regione Lombardia Letizia Moratti fiuta l’aria.

E, in un’intervista rilasciata alla Stampa, prova a lanciare un’esca al malpancismo leghista: «Braccia aperte» alla Lega, ma proprio quella del Nord, dice, «All’interno della Lega il livello di insofferenza verso la deriva politica centralista del movimento sia alto. Nel mio programma, per esempio, ha un ruolo di rilievo il tema dell’autonomia. Una Lombardia autonoma deve guardare a una macroregione con il Veneto di Zaia e l’Emilia-Romagna di Bonaccini per puntare a pesare.

Nulla a che vedere con la Lega di Fontana e Salvini». Del resto al castello di Giovenzano l’emblema di tutti gli errori di Salvini è proprio il tentativo i trasformare il movimento padano in un partito nazionale. Tentativo peraltro fallito. Che ha ribaltato i rapporti di forza nel centrodestra, in clamoroso svantaggio per la Lega. «Manca il nord, manca un sogno, manca un progetto. Serve la Lega come sindacato del nord», dice Ciocca, mentre sul palco sventolano le vecchie bandiere ingiallite della Lega Nord di Bossi insieme a quelle di Salvini premier. Il tentativo dichiarato è di rimetterle insieme. Ma deve cambiare musica, e infatti alla fine parte il vecchio inno «Va pensiero». Dove va, non è chiaro.

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